Neuromarketing e scelte inconsapevoli: il ruolo del coloreTempo di lettura stimato: 14 min

di Alessandro Bortolotti

Il colore ha da sempre affascinato studiosi appartenenti ad ogni area di ricerca, in particolar modo a partire dagli anni 2000, periodo in cui nella letteratura scientifica si assiste ad un vero boom di pubblicazioni riguardanti la relazione tra colore e psicologia.

Dal punto di vista applicativo – mettendo quindi da parte la letteratura focalizzata su aspetti più teorici del mondo delle neuroscienze e della psicologia cognitiva – gran parte di queste pubblicazioni si focalizzano sullo studio del colore nel campo del marketing, inizialmente, e del (neuro)marketing in tempi più recenti. Questo non ci stupisce: il colore è in grado di catturare il consumatore e di modellarne la percezione. Attraverso il colore, un brand può definire in modo netto una solida identità visiva che gli consenta di posizionarsi tra i concorrenti e di “arrivare” ad un target ben preciso (Cooper, 1996). Il colore è infatti in grado di definire la personalità del marchio (si pensi ad esempio a Coca-Cola) e può in alcuni casi rappresentare il fulcro di alcune specifiche strategie di marketing.

Prima di affrontare più nel dettaglio lo studio del colore nel (neuro)marketing, è necessario fare un passo indietro, introducendo concetti come quelli di Sistema 1 e Sistema 2, risposte implicite e risposte esplicite.

Se non sei nuovo su queste pagine, puoi andare dritto al sodo.

Perché mentiamo non sapendo di mentire?

Tutti i giorni veniamo “bombardati” da stimoli, ignorando la possibile influenza che questi possono avere sul nostro comportamento. Questa tendenza è legata alla nostra propensione a risparmiare energie mentali per compiti che ne richiedono di più e ci consente di effettuare delle scelte in maniera automatica [1].

Da qui è stato dimostrato che uno dei comportamenti che spesso sfugge al nostro completo controllo razionale è quello d’acquisto, oggi oggetto di studio tanto di esperti di marketing quanto di neuroscienziati che si occupano di decision-making. A tal proposito, la mancata spiegazione di alcuni comportamenti di acquisto ha portato ad interrogarsi sull’onestà dei compratori, nel momento in cui, pur dichiarando di voler acquistare un prodotto, ne selezionano alla fine uno differente.

I consumatori non “mentono”, quanto piuttosto “ingannano” inconsciamente loro stessi in differenti modi. Uno di questi è relativo ad alcune preferenze espresse secondo la necessità di adeguarsi ad una risposta che si conformi ad un determinato grado di accettabilità come  fattore di desiderabilità sociale. Un altro di questi modi implica invece che si giustifichino comportamenti irrazionali tramite motivazioni elaborate a posteriori cha vadano a tutelare la nostra coerenza cognitiva.

Questi comportamenti d’acquisto automatici e opposti alle dichiarazioni esplicitamente espresse, hanno messo in crisi le tecniche utilizzate nel campo del marketing tradizionale, rendendo i comportamenti impliciti oggetto di studio dell’economia comportamentale e di quello che viene oggi definito come “neuromarketing”.

Il termine “neuromarketing”, viene utilizzato per la prima volta da Ale Smitds nel 2002 [3] e si identifica come una nuova disciplina derivante dall’applicazione delle tecniche neuroscientifiche al mondo dell’economia, in particolare al marketing, con il preciso scopo di analizzare ed osservare i processi irrazionali ed automatici del consumatore in grado di influenzare i comportamenti di acquisto.

In questo caso, non si tratta di una moda, e nemmeno di “Neuromania” [4], per cui referti di risonanze magnetiche funzionali fungono da “marchio” di scientificità, ma si tratta di un nuovo approccio nato dai limiti di alcuni approcci precedenti. Tra gli strumenti che è possibile impiegare, è possibile citare l’elettroencefalografia e la risonanza magnetica funzionale, che, quando utilizzati in modo combinato, possono rilevare interessanti informazioni, anche grazie alla differenziazione in termini di risoluzione spazio-temporale [5].

È infatti noto dalla letteratura scientifica che circa il 90% delle decisioni d’acquisto è influenzato da processi guidati dall’inconscio e, come tali, irrazionali [6].

E il colore?

Gran parte degli stimoli a cui i consumatori sono continuamente esposti – tra cui quelli legati alle caratteristiche cromatiche di un determinato oggetto – sfuggono al controllo del Sistema 2 (razionale, consapevole e deduttivo), ovvero non vengono elaborati a livello cosciente, in quanto portatori o catalizzatori di un messaggio “subdolo”, che non perviene alla nostra capacità di elaborazione. Pertanto, pur senza volerlo, e senza la nostra piena consapevolezza, siamo costantemente bombardati da numerosi stimoli di differente natura sensoriale, i quali catturano appunto la nostra attenzione attraverso queste tecniche “subdole”.

Tali stimoli possono essere definiti “super-stimoli”, ovvero stimoli creati ad hoc in laboratorio che sono in grado di far leva sulle nostre emozioni e, dunque, di catturare la nostra attenzione [7]. Questo ci porta a creare delle associazioni involontarie e a legare lo stimolo stesso ad esperienze passate connotate da un forte impatto emotivo, e ad associare un prodotto a colori, suoni e ad emozioni. Tali associazioni saranno poi in grado di creare nel nostro inconscio una sorta di memoria emotiva, che andrà a modificare i nostri comportamenti futuri ogni qual volta ci troveremo di fronte a quella specifica combinazione di prodotto-colore.

Evidenze empiriche mostrano che, all’interno di questa “tempesta di stimoli”, il 90% sono di natura visiva [8]. La maggior parte degli acquisti inconsapevoli è quindi legata all’ impatto visivo del prodotto e, più nello specifico, al colore.

Figura 1: Come il colore influenza il processo d’acquisto.
Fonte: StrategyLab.ca

Il colore è onnipresente e rappresenta una fonte di informazioni impareggiabile.

Le persone prendono una decisione entro 90 secondi dalle loro interazioni iniziali con persone o prodotti e circa il 62-90% della valutazione si basa esclusivamente sui colori [9].

A pensarci bene, questa considerazione non è così stravolgente né inedita nella storia del marketing: basti pensare ad alcuni settori, come quello dell’editoria dove i colori nel corso dei decenni hanno acquistato persino un valore connotativo legato al prodotto specifico. Possiamo quindi andare in libreria e chiedere un giallo o un romanzo rosa, senza molto margine di ambiguità (perlomeno, in Italia. È infatti importante sottolineare che queste differenze non sono universali, come ci racconta Falcinelli qui).

Alla base di questa associazione ci fu proprio una intuizione molto innovativa dell’editoria anni ’30: i romanzi gialli dovevano andare a riempire degli spazi sugli scaffali delle librerie e delle edicole che erano inevitabilmente meno visibili rispetto a quegli spazi dedicati – ad esempio – ai grandi classici della letteratura o ai quotidiani. Il colore giallo permetteva quindi di sopperire alla mancanza di centralità di posizionamento su scaffale, consentendo al prodotto giallo di spiccare e – allo stesso tempo –  di sfruttare le tecnologie di stampa dell’epoca che essendo basate sulla quadricromia , non permettevano destrezze cromatiche che andassero oltre le classiche combinazioni tra colori primari e nero.  

Va da sé che riuscire ad ottimizzare l’utilizzo del colore nel campo del marketing e della comunicazione ha un’importanza fondamentale e, per far ciò, è altrettanto imprescindibile far ricorso alla letteratura scientifica di discipline quali la psicologia e le neuroscienze, coadiuvata dall’utilizzo delle tecniche di neuroimaging per indagare in modo più accurato le scelte dei consumatori.

È possibile quindi individuare un’infinità di applicazioni del colore nel campo del marketing, come ad esempio il colore o i colori di un brand, di un prodotto, di un’etichetta e così via.

Ma come si può scegliere il giusto colore?

A venirci incontro per aiutarci a rispondere a questa domanda è una disciplina conosciuta come “psicologia del colore”, nata nel 1810 quando Goethe pubblicò il  libro “La teoria dei colori” [10], che si occupava proprio di trovare associazioni tra colore ed emozioni, individuando delle caratteristiche tipiche della personalità da associare al colore.

Oggi questa linea di ricerca si è notevolmente avvicinata al campo del marketing, in cui risulta di interesse riuscire ad associare uno specifico colore alla personalità del brand o ad alcune caratteristiche di uno determinato prodotto. Un’azienda che riesce a trovare la giusta combinazione cromatica associata al proprio brand o al prodotto di interesse riesce infatti a catturare maggiormente la nostra attenzione e, di conseguenza, ad incrementare le proprie vendite.

Il colore e in grado di trasmettere a livello inconscio un significato e riesce perciò a persuadere il cliente della bontà del prodotto. Non è un caso che il web sia ricco di riferimenti a possibili associazioni tra un dato colore e determinate caratteristiche emotive:

  • Il giallo, ad esempio, viene associato all’ ottimismo e dunque spesso utilizzato  per attirare l’attenzione nelle vetrine.
  • Il rosso, che trasmette energia ed urgenza, è invece spesso associato alle vendite promozionali.
  • Il blu, che trasmette un senso di sicurezza e fiducia, viene molto spesso utilizzato da banche ed aziende che vogliono dare una visione rassicurante di sé.
  • Il verde, associato alla natura e, quindi, alla salute, viene spesso adoperato per trasmettere rilassamento.

L’associazione, tuttavia, non è sempre così lineare. In questo “marasma cromatico” in cui siamo immersi, il colore risulta essere piuttosto uno stimolo ben più complesso. Esso possiede infatti tre parametri o caratteristiche principali: il tono cromatico (anche detto tinta), la saturazione (o croma) e la luminosità [11]. Tali valori consentono di caratterizzare ciascun colore in considerazione del tipo di luce; quindi, la variazione di una di queste caratteristiche può variare anche l’associazione di un dato colore con un’emozione che esso può provocare. Da notare che il colore è anche definito in funzione delle sue lunghezze d’onda e il nostro sistema visivo attraverso è più sensibile ad alcune piuttosto che ad altre. In particolare, il rosso grazie alle sue lunghezze d’onda (~625-740 nm) è stato oggetto di studio di molti psicologi poiché risulta essere il colore che più attrae la nostra attenzione [12].

Proprio per queste motivazioni, il colore può attrarre i consumatori e può modellare le loro percezioni e le loro le decisioni d’acquisto [13]. Attraverso il colore, un marchio può infatti stabilire un’efficace identità visiva, formare forti relazioni con un mercato di riferimento e posizionarsi tra i concorrenti sul mercato.

Uno degli esempi che è possibile citare a proposito e senz’altro relativo a Coca Cola, un marchio che ha fondato l’identità del proprio brand sul colore rosso. A riprova di questo, in un articolo del Wall Street Journal, viene ripreso ed analizzato un esperimento fallito da parte del noto marchio, che, durante le feste Natalizie, aveva provato a lanciare una nuova lattina completamente bianca, in onore del periodo invernale. Ebbene, non solo i consumatori giudicavano questa lattina come troppo simile a quella argentata della Diet Coke (Coca Cola dietetica), ma dichiaravano di trovare meno gustosa la bevanda, più insapore. Tali feedback negativi costrinsero ovviamente Coca Cola a ritirare le candide lattine e a reintrodurre le classiche rosse, ma questo episodio ci fa senz’altro ben comprendere di quanto il colore di un brand possa profondamente influire sulle percezioni del consumatore che si trovi ad interagire con il prodotto.

Un altro esempio è il caso del noto marchio nel settore della moda Victoria’s Secret, che ha utilizzato il colore rosa come fulcro della propria strategia di branding e per creare una personalità specifica del marchio. Anche grazie al rosa – che ha permesso di delineare il brand tramite l’archetipo della donna come dea-amante – il brand è riuscito a raggiungere un particolare pubblico target e differenziarsi dagli altri competitor, affermandosi come leader indiscusso nei decenni.  Tuttavia, il colore come stimolo e strumento di marketing non è sempre universalizzabile – i colori non hanno la stessa valenza in tutti i contesti e in tutte le culture, come già accennato nel caso dell’editoria citato poco fa – né l’efficacia del messaggio che si vuole veicolare attraverso la scelta di un colore riesce sempre a superare la prova del tempo. Victoria’s Secret ne è un esempio: il brand ha abbracciato uno stile più inclusivo ed aperto alla diversità dei corpi che veste adottando una palette più variegata e scrollandosi di dosso la dicotomia rosa-femminile [14].

Un altro esempio lampante sul ruolo della cultura nel formare una valenza simbolica attorno ad un colore è l’arbitraria associazione tra il colore rosa ed il genere femminile ed il colore azzurro e il genere maschile. Non c’è infatti alcuna base scientifica che possa giustificare una “diversa preferenza” del colore in base al genere, al contrario: gli studi vanno in direzione differente rispetto a  questa distinzione – che sembrerebbe invece essere stata puramente frutto di una precisa assegnazione, reiterata nel tempo e rafforzata dalle strategie di marketing che sono nate in seguito alla diffusione della diagnosi prenatale, come spiega Paoletti a Il Post nella sua breve storia del colore rosa.

Differenti ricerche di tipo psicologico – invece – vanno in direzione di una possibile spiegazione inter-individuale di preferenza del colore.  A questo proposito, in uno studio di Palmer e Schloss (2010) viene mostrato come, in verità, i partecipanti hanno la tendenza a preferire tutti quei colori associabili a degli oggetti che amano. Il blu, ad esempio, associabile a cieli limpidi ed acque pulite, risulta essere un colore fortemente amato. Al contrario, colori associati con oggetti non amati, come ad esempio le varie sfumature di marrone associate a cibi marci o ad escrementi, vengono molto raramente preferiti. Su questa base, gli autori avanzano la ecological valence theory, per cui ciò che è rilevante per la selezione e la preferenza di un colore sarebbe riconducibile alla risposta affettiva delle persone in considerazione degli oggetti ad esso associabili [15].

Nemmeno la preferenza di un colore rispetto ad un altro è in grado di spiegare le decisioni di acquisto, in quanto non sempre scegliamo i prodotti in base al nostro colore preferito. Molto spesso sono piuttosto il contesto e la cultura di riferimento ad avere un ruolo cruciale nelle nostre scelte. Il “potere” del colore, e la sua facilità di utilizzo, lo rende però lo stimolo ideale per gli esperimenti di neuromarketing, perché, grazie alla sua natura emozionale ed emotiva, può essere impiegato per indagare il comportamento automatico del consumatore in contesti di acquisto.

Possiamo dunque sentirci del tutto liberi di acquistare ciò che riteniamo utile senza farci guidare dall’estetica del colore?

E se la tua risposta è “si”, sei sicuro di non ingannare te stesso?


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Bibliografia

[1] Daniel Kahneman. “Pensieri Lenti e Veloci.” (2011).

[2] Johansson, P., Hall, L., & Sikström, S. (2008). From change blindness to choice blindness. Psychologia, 51(2), 142-155.

[3] Ale Smidts. “Kijken in het brein: Over de mogelijkheden van neuromarketing.” (2002). Versione originale non tradotta. Abstract in inglese disponibile qui.

[4] Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà. Neuro-mania. Il cervello non spiega chi siamo. Il Mulino, (2009).

[5] Roberta De Cicco. Cos’è il neuromarketing?. Economia Comportamentale.it (2018).

[6] Manda Mahoney. The Subconscious Mind of the Consumer (And How To Reach It). (2008).

[7] Paolo Legrenzi , Carlo Umiltà. Una Cosa alla Volta, le regole dell’attenzione. Il Mulino (2016).

[8] Kosmyna, N., Lindgren, J. T., & Lécuyer, A. (2018). Attending to Visual Stimuli versus Performing Visual Imagery as a Control Strategy for EEG-based Brain-Computer Interfaces. Scientific reports, 8(1), 13222.

[9] Satyendra Singh. Impact of color on marketing, Management Decision, Vol. 44 No. 6, pp. 783-789. (2006).

[10] Johann Wolfgang von Goethe, La teoria dei colori. (1810).

[11] Smith, Thomas; Guild, John. “The C.I.E. colorimetric standards and their use“. Transactions of the Optical Society. (1931) 33 (3): 73–134.

[12] Elliot, A.J. (2015) “Color and psychological functioning: a review of theoretical and empirical work. Front. Psychol. 6:368.

[13] Labrecque, L.I., Milne, G.R. “Exciting red and competent blue: the
importance of color in marketing”
. Journal of the Academy Marketing Sciences. 40, 711–727 (2012).

[14] Copy42 di Penna Montata: Archetypal Branding: i 12 archetipi con esempi.

[15] Palmer, Stephen E., and Karen B. Schloss. “An ecological valence theory of human color preference.” Proceedings of the National Academy of Sciences 107.19 (2010): 8877-8882.

L’autore:

Alessandro Bortolotti è psicologo e dottorando di ricerca del dottorato in Business & Behavioral Sciences. Esperto in processi cognitivi, Alessandro si occupa di sviluppare un progetto di ricerca sulla percezione del colore nel marketing e nelle decisioni d’acquisto.

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