Il ruolo del font: identità di brand, percezione (e spinte gentilissime)Tempo di lettura stimato: 19 min

di Alessia Gaccione

Cosa ci porta a preferire un prodotto piuttosto che un altro? Gli elementi che influenzano le nostre scelte di acquisto – in particolare quelli al di sotto della nostra soglia di consapevolezza – sono tantissimi: uno di questi è il font utilizzato nell’etichetta del prodotto.

Il font è onnipresente nella nostra vita quotidiana, è in grado di condizionare la percezione che abbiamo nei confronti di un prodotto, di un brand o di un servizio, in quanto veicolo di informazioni, emozioni e anche elementi culturali (Wang et al., 2020).

Ogni stile tipografico ha un grande impatto sul modo in cui i consumatori considerano le informazioni e il prodotto stesso, ogni font ha una propria individualità, nonché una capacità  di trasmettere e suscitare sentimenti differenti, come affidabilità o diffidenza, ma anche semplicità o complessità. Sono sempre di più le aziende che, ad oggi, riconoscono il ruolo fondamentale dei caratteri tipografici, in quanto capaci di attirare i consumatori a “colpo d’occhio”, e sono altrettante le aziende che invece hanno fatto progettare caratteri tipografici specifici per i propri marchi per poter essere concepiti come unici, come per esempio BMW e YouTube (Wang et al., 2019).  

“Il diavolo è nei dettagli” è l’espressione comune che forse riesce a riassumere la costante e competitiva lotta alla nostra attenzione: dettagli apparentemente superflui, come le diverse caratteristiche di un carattere tipografico – riescono invece a fare la differenza nel delicato passaggio tra atteggiamento e intenzione ed effettivo comportamento d’acquisto. Non più “solo roba da UX-Designer o grafici di nicchia“: l’interesse nei confronti delle caratteristiche dei font in grado di catturare la nostra attenzione ed influenzare le nostre scelte ha stimolato l’interesse di un grande numero di studiosi. La ricerca sperimentale, accanto a quella applicativa, ha permesso non solo di scoprire di più sul ruolo del font come leva di marketing – ma anche di utilizzarlo come “spinta gentile” per pungolarci a prestare più attenzione alla qualità delle nostre scelte.

Cerchiamo coerenza, ovunque

Amiamo tutto ciò che è coerente, ci raccontiamo in continuazione storie coerenti, sono più facili da ricordare e sono in grado di aumentare la nostra fluidità cognitiva. Vivere in uno stato di fluidità ci permette di non percepire tensione, ci fa sentire di buon umore, ci fa piacere ciò che vediamo, ci fa fidare delle nostre intuizioni (Kahneman, 2020).  La visualizzazione di elementi coerenti facilita la velocità di comprensione e diminuisce lo sforzo mentale necessario per l’elaborazione, entrambi i fattori portano a una maggiore fluidità cognitiva che influenza, in modo positivo, il giudizio del consumatore (Li et al., 2019).

Possiamo immaginare, quindi, che anche quando dobbiamo scegliere un prodotto da acquistare tendiamo ad avere una preferenza per la congruenza tra l’etichetta del prodotto e il prodotto stesso.  

Se gli input sensoriali sono congruenti, gli individui si sentiranno fluenti nella valutazione di quel prodotto e quindi andrà probabilmente a svilupparsi una preferenza nei suoi confronti (Li et al., 2019).

La forma dei font è uno di quei fattori in grado di influenzare fortemente le associazioni implicite che gli individui fanno riguardo a un oggetto e alla sua valenza.

Per esempio, prendiamo un font sans serif, dalla forma rotonda. Dovrebbe essere associato alla morbidezza ed alla dolcezza.

Handgley Italic Sample
(Nello specifico, questo è MV Boli)

Confrontiamolo con uno dalla forma più angolare, che, al contrario, è percepito come duro e amaro.

(Si tratta di Hollywood Hills)

Da queste informazioni possiamo intuire che se la fluidità cognitiva genera piacere, la percezione di congruenza tra cibo e il font sull’etichetta dovrebbe portare a provare una maggior soddisfazione in quanto faciliterà ancor di più la percezione di fluidità cognitiva stessa.  

Sulla base di questi elementi, Li e colleghi (2019) si sono chiesti se la congruenza tra il cibo e il font in etichetta andasse a influenzare le scelte di acquisto negli individui. Partendo da questa ipotesi, il gruppo di ricerca ha condotto quattro studi che hanno messo in luce la nostra preferenza verso la congruenza tra il cibo e il carattere tipografico usato in etichetta. Un risultato interessante, emerso dai quattro studi, è che questa preferenza, la quale si traduce in una maggiore probabilità di acquisto,  è presente maggiormente nei prodotti edonici che in quelli utilitaristici.

 La preferenza di uno stato di congruenza nei confronti dei prodotti edonici, piuttosto che utilitaristici, è  correlata con la  fluidità cognitiva , perché se la congruenza  aumenta il nostro stato di fluidità, facendoci fidare maggiormente delle nostre intuizioni in maniera pressoché automatica, allora nel valutare l’acquisto di un prodotto utilitaristico (es. sale e pane) ci faremo condizionare molto poco da fattori sensoriali e ciò che valuteremo veramente saranno le prestazioni (Li et al., 2019). I risultati di questi studi mostrano come siamo vulnerabili nel momento in cui dobbiamo fare una scelta di acquisto, soprattutto se ciò che dobbiamo comprare non è un elemento strettamente necessario.

Le emozioni sono importanti

Nell’ambito del marketing è importante riuscire a coinvolgere in maniera emotiva l’acquirente, in modo da far esperire sensazioni positive che, come abbiamo già detto, fanno aumentare la fluidità cognitiva. Ma come incentivare il coinvolgimento emotivo? La maggior parte delle emozioni che proviamo è rivolta ad altri esseri umani, capita di rado (e in molti casi diremmo per fortuna!) un coinvolgimento emotivo nei confronti di un oggetto. Una strategia quindi, che potrebbe funzionare per aumentare coinvolgimento emotivo verso un prodotto, è umanizzarlo (Izadi, et al., 2019).

Un modo per riuscire a umanizzare l’articolo potrebbe essere proprio fare leva sul font, in particolar modo mediante un carattere che mimi la scrittura a mano.  Utilizzare un font di questo tipo aiuta a far percepire il prodotto similmente al modo in cui si percepisce un essere umano, in quanto fa avvertire la presenza del suo produttore e questo porta a un coinvolgimento anche emotivo. Questo si rivela infatti essere sempre più necessario dal momento in cui la crescente automatizzazione e digitalizzazione, ormai imperante nelle aziende moderne, conduce a ricercare metodi efficaci per “umanizzare” nuovamente i prodotti. Tale concetto può essere ricondotto alla “social presence theory” (Dahl et al., 2001), per cui la presenza di altri può essere veicolata da specifici segnali che implicano caratteristiche inumane.

Un esempio può essere rappresentato da uno studio di Schroll e colleghi (2018), in cui viene appunto proposto che comunicare attraverso caratteri tipografici scritti a mano può avere un effetto positivo sulla valutazione di un prodotto, rafforzando l’attaccamento emotivo del consumatore. Questo accade perché questo tipo di carattere sottintende in certa misura una presenza umana, che fa in modo che il consumatore sia più emotivamente orientato nei confronti del prodotto, conducendo ad una valutazione più favorevole dello stesso.

Similmente, Izadi e colleghi (2019), hanno dimostrato invece che l’utilizzo di font che mimano la scrittura a mano aumenta la probabilità di toccare il prodotto (impegno tattile), che porta a una maggiore valutazione e a una maggiore probabilità di scelta.

L’impegno tattile potrebbe essere definito come un comportamento esplorativo istintivo, usato per cercare piacere e per individuare le informazioni inerenti allo stimolo tramite l’utilizzo delle proprie mani (Izadi, et al., 2019). L’importanza del coinvolgimento tattile deriva dal fatto che il tatto, dopo la vista, è il senso più utilizzato per fare delle valutazioni, applicarlo nell’ambito del marketing può portare gli individui a valutare meglio il prodotto e, in alcuni casi, persino a fare degli acquisti impulsivi (Izadi, et al., 2019).  

Le scelte che facciamo ogni giorno sono dettate principalmente dalle nostre emozioni e dalle nostre percezioni (Ntapiapis et al. , 2020)  e  nel momento in cui il mondo dell’economia si è resa conto di tutto ciò , comprendendo che l’uomo non è un agente razionale, ha avuto il  bisogno di essere affiancata da altre discipline come le neuroscienze.

L’unione del marketing alle neuroscienze ha dato vita la neuromarketing, che negli ultimi anni  è riuscito a migliorare le ricerche nell’ambito del marketing tradizionale, mettendo in luce il modo in cui le risposte e le emozioni inconsapevoli influiscono sulle percezioni dei consumatori e sui processi decisionali (Mileti et al. 2016).

 Il neuromarketing si fonda sul presupposto che i sistemi sensoriali e motori di ogni individuo, possono essere identificati in specifiche reti di cellule cerebrali, la cui osservazione può essere in grado di far emergere le caratteristiche inconsce o emotive del processo decisionale del consumatore (Mileti et al. 2016).   Per osservare e identificare queste specifiche reti cerebrali, il neuromarketing, sfrutta svariati metodologie scientifiche in grado di effettuare misurazioni fisiologiche, per esempio,  per valutare gli stati emotivi dei soggetti può essere utilizzata la  risonanza magnetica funzionale (fMRI),  l’elettroencelografia (EEG) o la risposta galvanica della pelle (GSR).

L’EEG e la fMRI sono in grado di misurare, rispettivamente, l’attività elettrica dell’encefalo e il flusso sanguigno cerebrale, in modo da riuscire a identificare le aree cerebrali coinvolte durante un compito specifico (es. guardare varie etichette con font differenti ), le quali sono associate a determinate capacità cognitive, come l’esperienza emotiva. La GSR invece, monitora le variazioni delle proprietà elettriche della pelle riuscendo a mettere in evidenza alcuni stati mentali, come lo stress.

Sfruttare questi metodi delle neuroscienze cognitive si è rivelato sicuramente un vantaggio, in quanto ha permesso di indagare su tutti quei processi non consapevoli che il marketing tradizionale non riusciva a studiare, ma allo stesso tempo presentano dei limiti , come il costo elevato , le tempistiche lunghe legate alle durate dei vari compiti sperimentali , basti pensare che una risonanza magnetica funzionale richiede  almeno cinquanta minuti di attività  e anche  la necessità di utilizzare degli strumenti molto ingombranti, rendendo gli studi poco pratici e molto artificiali (Mileti et al. 2016) .

Inoltre , osservare l’attivazione dell’amigdala mentre il soggetto visualizza un determinato prodotto,  permette di capire che l’individuo sta sperimentando un coinvolgimento emotivo, ma è bene ricordare che questo non si traduce, automaticamente, nel comportamento di acquisto del soggetto, bisogna sempre tenere presente che le tecniche di neuroimmagine sono un mezzo per valutare il funzionamento e l’attivazione delle aree cerebrali, ma non sono in grado di darci tutte le risposte.

Nonostante questa serie di limiti, che magari con il tempo potranno diminuire, il neuromarketing  fornisce sempre più informazioni su come le emozioni e le risposte subconscie possono avere un forte impatto sulle percezioni e sul processo decisionale dei consumatori.

È importante ricordare che non siamo esseri razionali, le emozioni sono importanti, guidano ogni nostra scelta, senza di essi non riusciremmo a prendere alcuna decisione ed è per questo che un font che mima la scrittura fatta a mano può giocare un ruolo fondamentale nelle nostre scelte di acquisto. L’esperienza di acquisto deve essere vissuta nel modo più gradevole possibile, dobbiamo trarre piacere da essa, un’emozione negativa potrebbe inficiare tutto il processo di acquisto.

La complessità può essere nostra amica

La scelta di un font particolare è in grado di invogliare di più all’acquisto, ma alcune volte potrebbe anche migliorare il processo decisionale. Spesso crediamo che il marketing abbia come unico obiettivo quello di farci comprare di più e disconosciamo quella parte dell’economia comportamentale che invece cerca di aiutarci nel processo decisionale. L’utilizzo di un carattere speciale (𝕮𝕺𝕸𝕰 𝕼𝖀𝕰𝕾𝕿𝕺) è in grado di aumentare l’elaborazione analitica, riuscendo a mettere in discussione le proprie credenze, aumentando la qualità dei giudizi e della presa di decisione (Wu et al., 2020). Usare un font speciale può rendere sì più complessa la comprensione, ma riesce anche a rendere la percezione del prodotto come unica, a discapito, in alcuni casi, della facilità dell’elaborazione.

Ruomeng Wu e colleghi, hanno cercato di indagare il ruolo che può avere un font speciale nelle valutazioni di alcuni prodotti. Negli studi condotti, i partecipanti sono stati chiamati a valutare un servizio di consegna a domicilio sulla base di un cartellone pubblicitario, un sapone sulla base di un annuncio promozionale , singoli prodotti di arredamento in base alla  loro descrizione e un servizio di pagamento di tasse. Nelle condizioni di controllo le descrizioni dei prodotti erano scritte con dei font classici, mentre nelle condizioni sperimentali sono stati usati dei font speciali.

I risultati di questi studi mostrano che in alcuni casi i soggetti valutavano la descrizione fatta con il font speciale come unica , in altri, invece, valutavano la descrizione come complessa da analizzare,  dimostrando poi che, mentre la percezione dell’unicità diminuisce la consapevolezza delle informazioni mancanti, portando a giudizi iniziali più favorevoli e  a una maggiore probabilità di rimpianti in seguito, la percezione della difficoltà ha effetti opposti (Wu, et al., 2020). Infatti , percepire il font come difficile da elaborare, aiuta i soggetti a commettere meno errori di valutazione,  ed evitare così di fare scelte troppo impulsive, che potrebbero essere la causa di un rimpianto futuro.

L’effetto derivante dall’uso di un carattere speciale dipende dal contesto in cui esso viene inserito.

Per esempio, i consumatori sono maggiormente influenzati dall’unicità dei caratteri quando valutano dei saponi fatti a mano, perché si aspettano che questo genere di  prodotto sia esclusivo. Nel momento in cui però devono valutare un servizio per il pagamento delle tasse, si troveranno a valutare principalmente  la difficolta di elaborazione associata al font utilizzato perché, in questo caso, non si aspettano che il servizio sia “unico” (Wu, et al., 2020).

Ruomeng Wu e colleghi attraverso questi studi hanno messo in luce che l’utilizzo di caratteri speciali, in alcuni contesti, può essere utilizzato per ridurre il senso di rimpianto futuro di  chi acquista. Molte volte, ci si ritrova a trascurare le informazioni che mancano o quelle che non sono immediatamente disponibili e così ci ritroviamo ad acquistare qualcosa che non ci serve veramente, aumentando la probabilità di provare rimpianto nel futuro.

Utilizzare dei caratteri speciali per descrivere i prodotti o una parte di essi, è un modo elegante per ridurre la percentuale di errori di acquisto e di diminuire l’impatto delle euristiche durante il processo decisionale.

Un font può essere una spinta gentile?

In termini pratici, è possibile sfruttare tutte queste informazioni per rendere più piacevole e funzionale il processo decisionale.

In via puramente teorica, quindi, se un brand desiderasse migliorare le preferenze dei consumatori verso prodotti edonici si potrebbe prendere in considerazione la possibilità di sfruttare la congruenza tra l’elemento che si vuole vendere e il font in etichetta, in particolar modo mediante l’uso di font arrotondati, come visto negli studi precedenti.
Questa preferenza nei confronti della congruenza può però essere utilizzata anche per aiutare i consumatori a fare scelte più salubri in quanto i prodotti edonici, generalmente, sono ricchi di calorie e non sono adatti a un’alimentazione sana. L’uso di queste informazioni potrebbe permettere di testare quello che è – a tutti gli effetti – un nudge da manuale: una scuola, per esempio, potrebbe decidere di tentare di disincentivare l’acquisto di prodotti meno sani inserirendoli all’interno dei distributori automatici  con etichette non congruenti, in modo da far preferire l’acquisto dell’alternativa più sana (sottolineiamo che questa idea non è stata testata empiricamente, ma è frutto di una riflessione dell’autrice)

Anche la scelta di usare caratteri speciali può aiutare chi acquista: infatti è consigliato il suo utilizzo quando si vuole avviare e mantenere delle relazioni a lungo termine, come nel caso dei programmi fedeltà (Wu, et al., 2020). Ricordiamoci, infatti, che l’utilizzo di un carattere speciale sembrerebbe addirittura la probabilità di rimpiangere a posteriori la scelta effettuata.

Un altro elemento che bisogna tenere in considerazione quando si sceglie il font da utilizzare è la familiarità del font. Purtroppo gli studi che analizzano il ruolo della familiarità del font non sono tanti, ma sappiamo che la scelta di un carattere familiare influenza la sua percezione in quanto viene facilitata la lettura, richiedendo così meno tempo di elaborazione (Nedeljkovic et al. , 2020).

Rendere la lettura più semplice è un aiuto che può essere fornito a chi acquista per evitare di commettere errori mentre si valuta il prodotto, inoltre si rivelerebbe una scelta molto inclusiva per chi soffre di alcuni disturbi come la dislessia.

Le neuroscienze del font perfetto

Quindi, è possibile dire che esiste un font scientificamente perfetto?
È sicuramente importante riuscire a creare un’identità per il proprio brand, ma bisogna essere capaci di bilanciare l’unicità del proprio marchio con una miriade di fattori, che spaziano dalla riconoscibilità e la leggibilità.
Bisogna prendere in considerazione il target di riferimento e il tipo di prodotto che si vuole vendere, in modo da riuscire a pesare l’unicità e la semplicità di elaborazione non sottovalutando che alcuni font, come abbiamo già detto, funzionano meglio nel lungo termine.   

Non c’è, quindi, un modo universale per riuscire a bilanciare tutti questi elementi: ogni brand avrà delle necessità differenti, anche dettate dal contesto e dalle diverse caratteristiche di usabilità e affordance offerte dalle piattaforme sulle quali operano. Ad esempio, uno studio in eye-tracking nato da una collaborazione tra IBM e Google (Beymer e colleghi, 2008), riportò che i font serif facilitano la lettura e la comprensione di un testo, in particolare Georgia. Nonostante questo risultato, nessuno penserebbe che tutti i siti di tutto il mondo debbano utilizzare solamente Georgia per rendere più fruibile il proprio contenuto.

Come in tutti i contesti che prevedono l’utilizzo di nudge e “spinte gentili”, inoltre, bisogna infine evitare l’errore di generalizzare: i risultati in un dominio specifico, come quello dello studio del font sulle etichette dei cibi. Uno stesso font potrebbe infatti essere valido in un determinato contesto e nocivo in un altro.

Stando alle evidenze sperimentali presentate poco fa, infatti, un programma per il pagamento delle tasse potrebbe trarre maggior vantaggio nell’utilizzo di caratteri speciali, facendo leva sul nostro pensiero analitico. Ma cosa pensereste se trovaste un font 𝕮𝕺𝕸𝕰 𝕼𝖀𝕰𝕾𝕿𝕺 – ad esempio, su un portale come PagoPA? Forse, in questo caso, optereste per il caro, vecchio Georgia?


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Bibliografia

Beymer, D., Russell, D., & Orton, P. (2008). An eye tracking study of how font size and type influence online reading. People and computers XXII: culture, creativity, interaction: proceedings of HCI 2008. In the 22nd British HCI Group annual conference (Vol. 2, pp. 10-5555).

Li, S., Zeng, Y., & Zhou, S. (2020). The congruence effect of food shape and name typeface on consumers’ food preferences. Food Quality and Preference86, 104017.

Wang, L., Yu, Y., & Li, O. (2020). The typeface curvature effect: The role of typeface curvature in increasing preference toward hedonic products. Psychology & Marketing37(8), 1118-1137.

Izadi, A., & Patrick, V. M. (2020). The power of the pen: Handwritten fonts promote haptic engagement. Psychology & Marketing37(8), 1082-1100.

Wu, R., Han, X., & Kardes, F. R. (2021). Special fonts: The competing roles of difficulty and uniqueness in consumer inference. Psychology & Marketing38(1), 86-100.

Kahneman D.  “Pensieri lenti e veloci” Mondadori, Milano 2020.

Mileti, A., Guido, G., & Prete, M. I. (2016). Nanomarketing: a new frontier for neuromarketing. Psychology & Marketing33(8), 664-674.

Ntapiapis, N. T., & Özkardeşler, Ç. (2020). A Neuromarketing Perspective for Assessing the Role and Impact of Typefaces on Consumer Purchase Decision. In Analyzing the Strategic Role of Neuromarketing and Consumer Neuroscience (pp. 208-228). IGI Global.

Nedeljković, U., Jovančić, K., & Pušnik, N. (2020). You read best what you read most: An eye tracking study. Journal of Eye Movement Research13(2).

Dahl, Darren W., Rajesh V. Manchanda, and Jennifer J. Argo (2001), “Embarrassment in Consumer Purchase: The Roles of Social Presence and Purchase Familiarity,” Journal of Consumer Research, 28 (3), 473–81.

Schroll, R., Schnurr, B., & Grewal, D. (2018). Humanizing products with handwritten typefaces. Journal of Consumer Research, 45(3), 648-672.

L’Autrice

Alessia Gaccione è una studentessa al primo anno di Neuroscienze Cognitive e laureata in Scienze e Tecniche Psicologiche presso l’Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara. È appassionata di economia comportamentale e neuromarketing, in particolar modo per il marketing multisensoriale.

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