L’Effetto Esca o Decoy Effect: l’esempio di IKEATempo di lettura stimato: 18 min

Abbiamo adattato ed ampliato questo Case Study di Kristina Radova dal blog insideBE.
insideBE è un blog internazionale che propone tantissimi contenuti: casi di studio, corsi e articoli sull’applicazione delle scienze comportamentali nel Business. I case study di insideBE sono a pagamento ma, per tutti i lettori di Economia Comportamentale, questo Case Study originale è gratuito e accessibile (anche in inglese) qui. La traduzione e l’adattamento sono a cura di Serena Iacobucci, Co-editrice del nostro blog, e Gianmarco Frattaroli, tirocinante in Neuromarketing ed Economia Comportamentale presso Umana-Analytics.


Il Case Study breve:
In questo case study risponderemo a 4 domande principali:

  1. Perché alcune aziende hanno nel proprio catalogo dei prodotti o servizi che non hanno come obiettivo quello di essere venduti?
  2. Perché spesso questi prodotti hanno prezzi molto simili ad altri ma presentano un evidente svantaggio in termini di rapporto qualità/prezzo?
  3. Cos’è l’effetto esca (o decoy effect, o effetto di dominanza asimmetrica)?
  4. Quali sono le caratteristiche di questi prodotti “esca” – spesso giustamente ignorati dai clienti – sulle quali le aziende fanno leva per aumentare i profitti? L’effetto esca funziona solo facendo leva sul prezzo?

In un mondo di scelte infinite

Sei a fare la spesa e ti trovi davanti ad uno scaffale: la quantità di alternative disponibili dello stesso prodotto ti travolge. Dopotutto, c’è una grande differenza tra avere libertà di scelta ed essere letteralmente sopraffatto dalle scelte. Avere a disposizione troppe opzioni, infatti, può avere anche delle conseguenze negative. Barry Schwartz le ha elencate brillantemente nel libro “The Paradox Of Choice: Why More is Less” (“Il paradosso della scelta: Quando meno è meglio”). L’eccesso di opzioni disponibili (choice overload) può portare, ad esempio, alla cosiddetta fatica decisionale (decision fatigue), può portarci a scegliere l’opzione di default o può addirittura portarci ad evitare di prendere la decisione (e quindi, non acquistare proprio) (Chernev et al., 2015).

Se sei un venditore come Ikea – che ha un catalogo di oltre 9500 articoli e offre più di quaranta versioni di alcuni singoli prodotti – dovresti decisamente prendere in considerazione l’impatto negativo che l’eccesso di scelte potrebbe avere (o sta già avendo) sui tuoi clienti (es. Turri & Watson, 2022).
Tenere conto dell’overload decisionale (ed evitarlo) è una scelta saggia per qualunque venditore, non solo per IKEA. Per farlo, basta poco: rendere il confronto tra opzioni disponibili più semplice e quindi facilitare il processo di presa di decisione dei nostri clienti. Ma è possibile farlo in maniera tale da orientare il consumatore verso il prodotto che desideriamo vendere? Cosa ci dice, a riguardo, la ricerca scientifica? Ci sono dei metodi affidabili, la cui efficacia è stata dimostrata empiricamente? E soprattutto, in che modo le aziende come Ikea sfruttano questo effetto a proprio vantaggio?

Per rispondere a queste domande bisogna iniziare col dire che il nostro cervello è caratterizzato da processi attivati attraverso il riconoscimento di pattern (o schemi): l’esposizione ad uno stimolo attiva nel nostro cervello i processi di elaborazione che iniziano con il recupero delle informazioni dalla memoria, ed in seguito lo stimolo viene interpretato sulla base dello schema attivato.

Allo stesso tempo, ci interfacciamo col mondo che ci circonda interagendo continuamente con il contesto. Essere coscienti di questi due assunti è cruciale in qualunque settore. Rivenditori, designer di prodotto, consulenti, commerciali e chi più ne ha più ne metta: comprendere i meccanismi alla base di alcuni comportamenti ci permette di cogliere opportunità e collegare idee che altrimenti ci sfuggirebbero.

Sappiamo – quindi – che il processo decisionale dei consumatori non avviene nel vuoto, bensì all’interno di specifici pattern psicologici preesistenti e in interazione con il contesto: è possibile fare leva su entrambi per progettare delle opzioni e delle offerte che facilitino il processo di scelta e d’acquisto e incrementino le vendite di un prodotto specifico – proprio come fa Ikea con il decoy effect, o effetto esca.

Ma come si crea l’effetto esca?

Abbiamo, a questo punto, un altro presupposto da cui partire: quando valutiamo un singolo prodotto o un singolo servizio non lo facciamo (quasi mai) dando una valutazione assoluta, bensì facendo una valutazione relativa. Nella nostra mente stiamo confrontando questo prodotto o servizio con altri prodotti o servizi simili – anche con prodotti o servizi ideali e non reali (proprio grazie agli schemi, o pattern, di cui abbiamo parlato poco fa). Ci ancoriamo a fattori come il prezzo che avevamo preventivato di spendere oppure ad articoli simili che abbiamo visto ma che non sono effettivamente presenti tra le scelte che stiamo valutando.

Quello che fanno le aziende che utilizzano il decoy effect come leva di marketing consiste in parte nel guadagnare seppur parzialmente il controllo rispetto ad alcuni fattori di paragone. Introducendo dei termini di paragone e delle variabili di confronto (che altrimenti dipenderebbero esclusivamente dal consumatore, dal suo prodotto ideale “immaginario” e dai suoi schemi mentali) stiamo, di fatto guadagnando un margine di controllo. Di conseguenza, otteniamo un margine di manovra più ampio per indirizzare il consumatore verso una scelta specifica tra le opzioni presentate. Questo è esattamente quello di cui si occupa l’architettura delle scelte, sia essa in ambito di policy-making (in questo caso, indirizziamo i cittadini e le cittadine verso un processo di presa di decisione più razionale, da cui beneficerà l’intera società) che in ambito di marketing. (Per un confronto con le vicine tematiche del nudge, vi rimandiamo al nostro articolo, “Nudge, la spinta gentile“).

Torniamo all’effetto esca e pensiamo ora ad un servizio di abbonamento con diverse opzioni, dove una in particolare è quella verso la quale l’azienda vorrebbe indirizzare i propri consumatori (che chiameremo opzione target). Ci troviamo in un classico scenario in cui l’azienda potrebbe voler fare ricorso all’effetto di dominanza asimmetrica o, appunto, all’effetto esca o decoy

L’esca consiste nell’inserire un’opzione che nessuno comprerebbe – in quanto è oggettivamente sconveniente. L’opzione esca non viene inserita per essere venduta e il venditore stesso lo sa (seppure in alcuni casi, come vedremo, aziende come IKEA riescono a vendere anche l’esca senza molta fatica). L’obiettivo di conversione di un’esca non è sempre l’acquisto ma è un altro: quello di far sembrare l’opzione target più attraente.
Nel nostro esempio di un abbonamento ad un servizio online, l’effetto decoy viene messo in atto inserendo un’opzione di abbonamento che ha un minor valore oggettivo (perché, ad esempio offre meno vantaggi e funzionalità) rispetto a quello target, ma che allo stesso tempo costa circa quanto un piano di abbonamento che invece offre molti più vantaggi.

L'effetto esca nel caso di The Economist illustrato da Dan Ariely
L’esempio di effetto esca negli abbonamenti di The Economist, che ha ispirato gli studi di Dan Ariely – Fonte: Ariely D. (2008) Predictably Irrational

Dan Ariely  ha condotto una serie di esperimenti per indagare questo fenomeno su un campione di studenti dell’MIT (La serie di studi si trova qui: Ariely & Wallsten, 1995). Come esempio, però, vi parleremo del caso emblematico dell’abbonamento a “The Economist” che ha ispirato gli scenari presentati da Ariely nei suoi esperimenti. Nel saggio “Predictably Irrational” l’autore racconta di essere stato colpito da una pubblicità che mostrava tre proposte di abbonamento. La prima opzione prevedeva 59$ per abbonarsi alla sola versione digitale del giornale. Un’offerta, afferma l’autore, abbastanza ragionevole. La seconda opzione proponeva l’abbonamento alla sola versione cartacea per 125 dollari – un prezzo decisamente elevato ma non completamente irragionevole. O meglio, non completamente irragionevole finché non si legge la terza opzione: un abbonamento digitale e cartaceo alla stessa identica cifra: 125 dollari.  A questo punto, si chiede Ariely, chi acquisterebbe mai l’opzione 2, se allo stesso prezzo può avere entrambe le versioni? Per qualche secondo, l’autore pensa a un errore tipografico. Riflettendoci meglio, si rende conto che l’opzione 2 potrebbe essere stata una semplice esca per far sembrare l’opzione 3 più conveniente e appetibile anche a coloro che altrimenti si sarebbero ancorati solamente al prezzo della versione digitale.

Per testare questa sua ipotesi, ha proposto a un gruppo di studenti dell’MIT’s Sloan School of Management degli scenari molto simili. In una prima fase dell’esperimento, ha proposto le tre opzioni di abbonamento come riportate nella rivista:

  • Offerta 1: 59 dollari, per il solo formato digitale;
  • Offerta 2: 125 dollari, per il solo formato cartaceo;
  • Offerta 3: 125 dollari, per il formato digitale e cartaceo

Gli studenti hanno scelto in questo modo:

  • Offerta 1: 59 dollari, per il solo formato digitale (16% studenti)
  • Offerta 2: 125 dollari, per il solo formato cartaceo (0% studenti)
  • Offerta 3: 125 dollari, per il formato digitale e cartaceo (84% studenti)

A questo punto, riflette l’autore, gli studenti hanno pensato che ci fosse un oggettivo vantaggio nell’’offerta 3, quando in realtà sono stati influenzati dalla mera presenza dell’esca (opzione 2). Infatti, come dimostra il secondo step dell’esperimento, rimuovendo l’opzione 2 questi sono i risultati:

  • Offerta 1: 59 dollari, per il solo formato digitale (68% studenti)
  • Offerta 2: 125 dollari, per il solo formato cartaceo (rimossa)
  • Offerta 3: 125 dollari, per il formato digitale e cartaceo (32% studenti)

Rimuovendo l’esca (offerta 2) – le preferenze degli studenti si spostano significativamente sull’offerta che prima avevano ignorato. E – allo stesso modo – si spostano i guadagni dell’azienda: nel primo scenario – in presenza dell’esca – ipotizzando un campione di 100 abbonati – l’azienda riesce a ricavare circa 11.444 dollari in abbonamenti . In assenza dell’esca, la maggioranza degli abbonati si sarebbe rivolta alla versione solo cartacea, e l’Economist avrebbe visto i ricavi scendere di ben  3432 dollari (e ora rifate questi conti, ma sappiate che The Economist conta più di un milione e 200 mila abbonati) (Fonte: Press Gazette, dati aggiornati a Giugno 2021).

L’irrazionalità di questo cambiamento di preferenza si basa sulla condizione di espansione: Se scegli x all’interno di un insieme {x,y} – assumendo che tu non sia indifferente tra x e y (e che tu non abbia scelto, ad esempio, in maniera randomica) , allora non è possibile che tu scelga y all’interno dell’insieme {x,y,z}. (Per approfondimenti, consigliamo la lettura del capitolo “Decision Making in Condizioni di certezza” contenuto in Economia Comportamentale di Angner, 2017 – ne abbiamo parlato anche in questo articolo!)

Ma si può creare un effetto esca senza ricorrere a paragoni di prezzo?

Sì, l’effetto esca può essere generato anche senza porre l’accento solamente sulle variabili di prezzo. 

Pensate di essere in qualche catena di fast food, dove è possibile il refill illimitato di bevande compreso nel prezzo del menù. Il fast food (per motivi economici e non solo per il bene della nostra salute) avrebbe un grande interesse nel vederci riempire il bicchiere d’acqua piuttosto che di bevande gassate.
Come racconta Sam Tatam, consulente in Strategie Comportamentali per Ogilvy UK – alcuni esperimenti sul campo hanno dimostrato che affiancare un erogatore che riporta la semplice scritta “Acqua” con uno che invece sovrappone la scritta ad un’immagine più attraente di un po’ d’acqua rispetto ad uno sfondo neutro, rende immediatamente questa seconda opzione più allettante anche rispetto alle bevande gassate. Cos’è successo? Improvvisamente non c’è più solo acqua vs.  bevande gassate, bensì una versione “base” e una “superiore” d’acqua – che appare decisamente molto più attraente e va a competere (e spesso vincere) contro le bevande dolci e gassate. 

Questo ci riporta a Ikea.  Il gigante svedese applica l’effetto esca in contesti ben diversi e con interessi ben diversi dal ridurre il nostro consumo di bevande zuccherine. La strategia alla base è ovviamente la stessa, ma per IKEA l’effetto esca ha l’ulteriore vantaggio di facilitare la scelta dei consumatori posti di fronte ad una situazione di overload decisionale. L’esca, in questo caso, aiuta anche a mitigare l’impatto dell’impressionante vastità del catalogo aziendale, creando un punto di ancoraggio che ha l’ulteriore vantaggio (per IKEA) di essere gestito da… IKEA stessa.

Che IKEA si avvalga magistralmente di tantissime strategie comportamentali non è una sorpresa: non a caso c’è un vero e proprio bias cognitivo dedicato all’azienda svedese – l’effetto IKEA, appunto – che descrive la nostra propensione a valutare di più prodotti della stessa qualità se siamo stati noi stessi a costruirli e che giustifica il nostro amore per pezzi di arredamento svedese, seppur imperfetti, che abbiamo in casa. E sicuramente avrete letto tantissimi articoli che elogiano le strategie di storytelling dei suoi (ormai abbandonati!) cataloghi e sul design esperienziale dei punti vendita (es. Garnier & Poncin,  2019).

Come fa Ikea a utilizzare i prodotti di “back off” per generare l’effetto esca?

Torniamo all’effetto esca, e su linea particolare di prodotti creata non per essere montata bensì per essere ignorata ed incrementare i profitti totali.

Con migliaia di prodotti (decine dei quali nella stessa categoria), il rischio di un overload dovuto da un eccesso di scelte è considerevole. Per diminuirlo, migliorare l’esperienza utente e incrementare la soddisfazione post-acquisto, Ikea ha messo a punto una linea di produzione che permetta la creazione dei cosiddetti prodotti “back off”.

Da una parte questi prodotti sono meno vantaggiosi per il consumatore: ci sono pochissimi motivi razionali per acquistarli perché sono oggettivamente svantaggiosi in termini di rapporto caratteristiche/prezzo rispetto al prodotto di gamma superiore. Ad esempio, presentano una minore usabilità e funzionalità già evidenti ad una prima occhiata. Sono però utili come esche all’interno della propria categoria, dai letti fino alle sedie, perlopiù per andare ad aumentare la percezione di qualità dei prodotti simili in catalogo. È il caso delle cassettiere della linea KULLEN e  di quelle della linea MALM, due cassettiere molto simili, se non per qualche centimetro di differenza, la qualità – e la differenza di prezzo (generalmente tra i 20 e i 50 euro).

The Decoy Effect - Everything You Need To Know | InsideBE
Il modello “esca” KULLEN offre un rapporto qualità-prezzo inferiore ed è esposto proprio accanto all’oggetto target, il modello MALM, per consentire un facile confronto tra i due.
Fonte: InsideBE

Ma non pensate a Kullen come a uno spreco di risorse produttive! Si tratta – in questo caso – di un’esca complessa: non è un prodotto che Ikea vuole vendere ma allo stesso tempo non faticherebbe a venderlo ai consumatori già decisi su quanto sono disposti a spendere: costa poco, è certamente fatto di legno di qualità inferiore rispetto a Malm – ed è di qualche centimetro più piccolo – ma i clienti che sono più preoccupati del budget piuttosto che della qualità si accontenteranno di Kullen, il cui prezzo è il più basso nella sua categoria (i.a. Imseng, 2021). Ma Kullen non è lì solo per quel motivo: come avete ben capito è lì anche per diventare il metro di paragone per MALM. Per soli venti euro in più, il cliente più sensibile alla qualità percepirà un valore più elevato ed opterà – quindi – per il comodino da 59 euro.

Vi basterà andare sulla scheda tecnica dei due prodotti, per andare a vedere che la differenza di prezzo non è giustificabile dalle oggettive caratteristiche dei prodotti in quanto riguardano solo qualche minima rifinitura. I due prodotti arrivano quindi dalla stessa catena di produzione, sono composti dallo stesso materiale (truciolare e fibre di legno) – ma l’effetto esca permette a IKEA di guadagnare da MALM con margini di profitto ben più elevati a fronte di minimi costi di finitura.

Ikea – generalmente – si assicura che ci siano molte variabili di paragone che ci spingano verso l’opzione target: i prodotti vengono ovviamente messi uno vicino all’altro – dove queste differenza nei piccoli dettagli (ad esempio, l’apertura dei cassetti facilitata in MALM) risultano salienti già solo con una singola interazione.

Ma basta un’esperienza di scorrimento dei cassetti più fluida a giustificare la differenza di prezzo? Apparentemente sì, non siamo completamente razionali – e voi lettori e lettrici lo sapete benissimo. Pensate, ad esempio, di voler optare per KULLEN mentre il vostro partner che invece preferisce MALM, perché non sopporta proprio il cigolio d’apertura del legno leggermente più scadente del comodino più scadente: venti euro di differenza sono un prezzo che siete disposti a pagare per evitare che la discussione si riproponga ogni sera, prima di andare a dormire, vero?

Un dettaglio fondamentale da tenere in considerazione per quanto riguarda l’effetto esca è che le due offerte devono essere molto vicine l’una all’altra, sia in negozio che online (spesso KULLEN e MALM appaiono nella rispettiva sezione del sito “Potrebbe piacerti…”, dove IKEA propone le alternative al prodotto visualizzato). In caso contrario l’effetto comparativo non si genererebbe: risulterebbe più complesso paragonare i due prodotti – qualora non fossero vicini, in particolare nell’esperienza di offline – in negozio – dove dovremmo tenere a mente le caratteristiche sensoriali fino all’uscita dell’aria espositiva, nel magazzino dove effettivamente prenderemo, finalmente, il nostro mobile.

L’effetto esca ci ricorda, quindi, quanto sia importante agire sul contesto e fornire noi stessi un metro di paragone per fare valutazioni relative e non assolute, proprio perché nella maggior parte dei casi i consumatori non hanno un’idea ben precisa in mente di prezzi e caratteristiche dei prodotti che cercano. Creare un’esca dà alle persone un senso di valore e il paragone, dà loro l’impressione di capire quando un prodotto è un affare o quando è meglio lasciar perdere, è un ottimo antidoto per il sovraccarico di scelte e perfino per lenire la nostra avversione al rimpianto (che è sempre in agguato dopo aver fatto un acquisto). Inoltre, permette all’azienda di avere maggior controllo sulle variabili di paragone attivate nella  mente del consumatore da schemi mentali che altrimenti sarebbero incontrollabili.
 

Meno prevedibilmente irrazionali, più consapevoli

Cosa dobbiamo ricordare di questo Case Study per provare ad essere meno irrazionali e più consapevoli?

  1. Spesso le aziende ci propongono un’offerta aggiuntiva, che di solito non dovrebbe affatto essere acquistata, ma che viene inserita solamente per influenzare in modo significativo il nostro processo d’acquisto;
  2. Questi prodotti esca hanno un prezzo (quasi) identico al prodotto target (quello che l’azienda vorrebbe farci acquistare) ma hanno delle caratteristiche oggettivamente inferiori in termini di qualità e funzionalità: il loro obiettivo è far sembrare il prodotto target più conveniente rispetto alle alternative;
  3. Questo fenomeno, in Economia Comportamentale ed architettura delle scelte, viene chiamato effetto decoy – o effetto di dominanza asimmetrica –  ed emerge quando è possibile manipolare sistematicamente le preferenze del consumatore introducendo un prodotto che è in ogni suo aspetto di qualità inferiore rispetto al target;
  4. In assenza dell’esca – come dimostrano gli esperimenti di Dan Ariely e del suo gruppo di ricerca – probabilmente avremmo ignorato il prodotto target, con margini di guadagno nettamente inferiori per l’azienda.

E tu, cos’hai in camera, KULLEN o MALM?

Bibliografia

Chernev, A., Böckenholt, U., & Goodman, J. (2015). Choice overload: A conceptual review and meta-analysisJournal of Consumer Psychology25(2), 333-358.

Ariely, D., & Wallsten, T. S. (1995). Seeking subjective dominance in multidimensional space: An explanation of the asymmetric dominance effectOrganizational Behavior and Human Decision Processes63(3), 223-232.

Garnier, M., & Poncin, I. (2019). Do enriched digital catalogues offer compelling experiences, beyond websites? A comparative analysis through the IKEA case. Journal of Retailing and Consumer Services47, 361-369.

Imseng, D. (2021). Chief Behavioral Officer: Wie Sie mit den psychologischen Erkenntnissen der Verhaltensökonomie den Unternehmenserfolg erhöhen. Vahlen.

Turri, A. M., & Watson, A. (2022). Product Assortment, Choice Overload, and Filtering Technology across Retail Contexts. The International Review of Retail, Distribution and Consumer Research, 1-21.

Ariely, D. (2008) Predictably Irrational: The Hidden Forces That Shape Our Decisions. Harper Collins, ISBN 978-0-061-35323-9, 304 pages

Autori e traduttori

Kristina Radova è Senior Behavioral Consultant e Chief Copywriter per MINDWORX, azienda di Consulenza Comportamentale per il Business. Kristina è laureata in Psicologia sociale e del lavoro e – dopo un’esperienza da recruiter – si è dedicata all’applicazione di insight comportamentali nel business, occupandosi di architettura delle scelte per un’importante azienda svedese di arredamento (🙃).

La versione in italiano dell’articolo è stata tradotta,
adattata ed ampliata da:

Serena Iacobucci è dottoressa di Ricerca in Business & Behavioural Sciences ed attualmente Editorial Outreach Specialist per Frontiers, casa editrice svizzera di riviste scientifiche open-access. Ex ricercatrice post-doc e cultrice della materia in Economia e Finanza Comportamentale, si è occupata di consulenza e ricerca in Linguistica e Comunicazione Digitale ed è Content & Digital Strategist per lo spin-off Umana-Analytics. Serena è la Co-Editor in Chief e responsabile della comunicazione di EconomiaComportamentale.it, editor associata e responsabile della comunicazione digitale di InMind Italia – una rivista trimestrale dedicata alla psicologia sociale – e Social Media Officer dell’Associazione Internazionale per la ricerca in Psicologia Economica (IAREP – International Association for Research in Economic Psychology).

Gianmarco Frattaroli è un laureando in psicologia dei gruppi, del lavoro e delle organizzazioni. Gianmarco ha svolto uno stage curricolare presso lo spin-off Universitario Umana-Analytics che si occupa di sviluppare tecnologie per portare l’economia comportamentale nelle aziende e applicare metodi e strumenti della ricerca neuroscientifica nel marketing e le risorse umane.

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