L’effetto QWERTY: un’analisi non convenzionale delle scelte di acquisto in situazioni di lock-inTempo di lettura stimato: 17 min

di Massimiliano Mariconda

(Le opinioni e le idee qui presentate sono espresse dall’autore a titolo puramente personale)

L’EFFETTO QWERTY

Immagina di essere uno scrittore di fama internazionale e di dover acquistare un nuovo laptop per terminare il tuo ultimo libro perché il tuo computer è rotto oppure è ormai obsoleto; nel negozio di articoli informatici il venditore ti offre un laptop con una tastiera con  un layout diverso da quella che utilizzi abitualmente (la cosiddetta tastiera QWERTY che tutti conosciamo, così chiamata dal nome delle prime cinque lettere in alto a sinistra).

Lo compreresti? Probabilmente no. E se il venditore ti dimostrasse che con il nuovo layout di tastiera che ti propone potresti riuscire, dopo un adeguato periodo di apprendimento, a raddoppiare la velocità di scrittura e quindi la tua produttività? Anche in questo caso è piuttosto probabile che preferiresti optare per un modello di laptop con tastiera identica a quella che sei già abituato ad utilizzare, giusto? Bene, hai appena sperimentato il fenomeno del lock-in.

Ma che cosa si intende quando si parla di lock-in e – nello specifico –  di lock-in tecnologico? Con tale termine si intende un rapporto di dipendenza che si instaura tra un cliente ed un determinato tipo di tecnologia, tale che il cliente si trova nella condizione di non poter acquistare un prodotto/servizio caratterizzato da una tecnologia differente senza dover sostenere rilevanti costi e rischi. Quando tale rapporto di dipendenza fa riferimento alla difficoltà nel cambiare fornitore piuttosto che tecnologia si parla invece di vendor lock-in.


Photo by Clay Banks on Unsplash

La tastiera QWERTY, ad esempio, brevettata nel 1878 da Christopher Sholes [1], fu pensata per le macchine da scrivere di allora e progettata in modo da separare il più possibile tra loro le lettere maggiormente utilizzate, nel tentativo di evitare l’inceppamento dei martelletti; nel 1936 August Dvorak brevettò un modello di tastiera, progettata con metodi scientifici per aumentare la velocità di scrittura minimizzando contestualmente la probabilità di errore, che, pur essendo superiore alla tastiera QWERTY, diffusasi nel frattempo in modo pervasivo, non riuscì a soppiantare tale standard de facto, determinando in tal modo un fallimento del mercato [2].

La vicenda, raccontata ogniqualvolta si vogliano descrivere processi economici denominati non ergodici (cioè quei processi il cui esito finale dipende dagli eventi più o meno casuali che si verificano durante il suo svolgimento) è talmente emblematica che il fenomeno del lock-in tecnologico è talvolta chiamato anche effetto QWERTY.

IL COSTO DEL CAMBIAMENTO

Quella appena illustrata è una storia da antologia del lock-in, in quanto è uno dei primi e più famosi esempi di questo fenomeno in cui ci si imbatte in occasione di scelte che riguardano l’acquisto di beni o servizi tecnologici. Nonostante non ci sia unanimità sull’interpretazione di questa vicenda [3] i cui dettagli sono stati abbondantemente approfonditi in numerosi lavori di ricerca [4], è un dato di fatto che il layout della tastiera QWERTY si è imposto come standard dalla sua nascita fino ai giorni nostri e non è stato scalzato dalla sua posizione di privilegio nemmeno da altri concorrenti apparentemente migliori.

Rientriamo per un attimo nei panni dello scrittore di grido. Sappiamo che, in un mondo economico “perfetto”, nel momento dell’acquisto, la scelta di quale laptop e quale modello di tastiera privilegiare dovrebbe avvenire sulla base di un’approfondita analisi costi/benefici; ipotizzando che nel caso specifico la tua funzione di utilità dipenda dalla tua produttività e che la stessa sia direttamente proporzionale alla velocità di scrittura, i benefici dello scegliere la tastiera che ti consente una maggiore velocità di scrittura sono abbastanza chiari e anche potenzialmente quantificabili in termini di miglioramenti misurabili rispetto alla situazione precedente.

Non altrettanto chiari e quantificabili potrebbero risultare i costi da prendere in considerazione: che ti piaccia o no, è un dato di fatto che quando hai a che fare con l’acquisto di un prodotto/servizio tecnologico in sostituzione di uno che già adoperi, ti troverai a sostenere dei costi. Il fenomeno dell’obsolescenza tecnologica, infatti, ti pone continuamente di fronte a scelte di riacquisto condizionate dalla tua precedente esperienza e, in caso di presenza di esternalità di rete, anche da quella degli altri utenti, oltre che dalle strategie delle imprese [5].

Il lock-in è quindi un fenomeno ciclico in cui il momento della valutazione delle alternative di acquisto è tendenzialmente condizionato dalle scelte (nostre e degli altri) effettuate nel passato; spesso si usa dire che le scelte di oggi dettano le esigenze di domani [6]. Come abbiamo accennato, ciò avviene a causa dei costi, detti switching costs, che occorre sostenere in caso di cambio di tecnologia. Gran parte degli switching costs sono oggettivi, ben classificabili e derivanti da sorgenti note (e.g. obblighi contrattuali, acquisto di beni durevoli e accessori complementari, formazione specifica, manutenzione) e pertanto conoscerli ed essere in grado di riconoscerne la genesi e l’evoluzione nel tempo rappresenta la prima linea di difesa per minimizzarne gli effetti nefasti.

Un esempio semplice e ben applicabile al nostro caso specifico, relativo allo scrittore orfano del laptop, è quello relativo ai costi di formazione specifica, detti anche learning costs. Nel caso di acquisto del laptop con layout di tastiera diverso dal QWERTY, infatti, dovresti mettere in conto un periodo di formazione più o meno lungo, dipendente principalmente dalla curva di apprendimento nell’utilizzo dello specifico layout di tastiera. Questo è chiaramente un costo, peraltro ben quantificabile in termini di perdita di produttività temporanea.

Non solo. Questo tipo di costo infatti non è statico ma ha un andamento crescente al passare del tempo, poiché maggiore è il tempo durante il quale utilizzi una determinata tecnologia, maggiore diventa la tua abilità nell’utilizzarla e maggiore sarà il costo per imparare ad usare la nuova tecnologia con lo stesso livello di competenza. E già qui si può intuire la complessità del fenomeno, dato che i differenti tipi di switching costs hanno andamenti temporali distinti, cosa che pone come determinante non solo la scelta in sé ma anche il momento in cui viene fatta. Inoltre fin qui abbiamo parlato dei costi oggettivi del cambiamento, ma cosa succede se andiamo a esplorare  anche la dimensione soggettiva?

CAMBIARE O NON CAMBIARE: QUESTO È IL DILEMMA

Appare chiaro che il fenomeno del lock-in è complesso, in quanto, come rappresentato, le scelte che lo determinano derivano da fattori quali switching costs ed esternalità di rete [7], variabili nel tempo e quantificabili solo dopo un’approfondita analisi [8]. Poiché, come sappiamo, l’essere umano è dotato di razionalità limitata e di ridotta capacità di elaborazione delle informazioni, soprattutto se le stesse sono incomplete [9], la soluzione al complesso problema economico che sta alla base del lock-in tecnologico non potrà che passare anche attraverso quelle regole empiriche e scorciatoie mentali che conosciamo con il nome di euristiche e bias, che, per via delle distorsioni cognitive che causano, piuttosto che risolvere il problema, possono complicarlo ulteriormente [10].

Al costo “razionale” del cambiamento, teoricamente quantificabile in termini economici, dovrai pertanto aggiungere anche quello “irrazionale” derivante dall’utilizzo di euristiche e bias, difficile da quantificare in termini economici ma perfettamente rilevabile su base empirica [11]. Quali sono quindi le deviazioni dal comportamento economico razionale da considerare in relazione al fenomeno del lock-in tecnologico? La più evidente è sicuramente la Sunk cost fallacy, che possiamo definire come un comportamento distorto dal punto di vista economico, il quale si concretizza nella tendenza a perseverare in un progetto, a prescindere dal suo esito finale, solo per il fatto di aver investito nello stesso denaro, energie o tempo [11].

Questo avviene perché gli individui compiono le loro scelte tenendo in considerazione i costi già sostenuti e pertanto irrecuperabili (detti sunk cost in quanto per l’appunto sono letteralmente sommersi e quindi non recuperabili), diversamente da quanto normativamente prescritto dalla teoria economica classica, secondo la quale un investimento passato non dovrebbe influenzare la scelta tra differenti alternative, ma essa dovrebbe essere effettuata tenendo in considerazione i soli costi incrementali e i benefici. Questo comportamento è talmente radicato nella psicologia degli esseri viventi, che molti autori ne riscontrano evidenze anche negli animali oltre che negli esseri umani, ponendolo alla base di molte dinamiche sociali [12].

Ma, se risulta semplice verificare nella pratica che gli individui si comportano esattamente in questo modo con semplici esperimenti [13], non altrettanto semplice e immediato è capire la ragione alla base di questo tipo di irrazionalità economica. Un’ipotesi gettonata ed esplorata, anche dal punto di vista empirico [14], è quella che spiega tale comportamento chiamando in causa un’innata avversione allo spreco da parte delle persone, anche definita come “don’t waste rule”. Infatti, sostenere un costo e non riuscire a godere pienamente dei benefici genera una sensazione di spreco a livello psicologico e tale spreco viene percepito dagli individui come una perdita; la teoria del prospetto ci insegna che le perdite hanno un valore emotivo negativo molto elevato [15] e pertanto le persone cercano di evitarle in ogni modo, il che ci fornisce una delle possibili spiegazioni della sunk cost fallacy.

In proposito è interessante analizzare brevemente un fenomeno anch’esso correlato all’avversione alle perdite e che quando si verifica può amplificare la sunk cost fallacy fino a causare una spirale con effetti negativi devastanti. Si tratta dell’escalation of commitment, ovvero della tendenza a perseverare in decisioni inefficaci relativamente a un investimento sostenuto, anche quando è improbabile che lo stesso possa essere ripagato e generare profitti. Anche tale fenomeno è riscontrabile empiricamente [16] e rappresenta una concreta attuazione del modo di dire, molto utilizzato nel mondo anglosassone “throwing good money after bad”. In pratica, si verifica molto spesso che le persone, dopo aver investito risorse non recuperabili (di cui, come si è detto, non si dovrebbe tener conto nella valutazione economica degli investimenti) in investimenti chiaramente non profittevoli, investono ulteriori risorse anche se la speranza di recuperarle è prossima allo zero, attivando una escalation irrazionale che ingigantisce gli effetti della sunk cost fallacy precedentemente descritta.

Questa irrazionalità di ampiezza via via crescente, per quanto rappresentato, è parzialmente spiegata non solo dalla teoria del prospetto, ma anche dalla teoria della self-justification, in base alla quale le persone, pur di rimanere coerenti con se stesse, tendono a giustificare il proprio comportamento e a negare i feedback ad esso associati e quindi, anche quando dovrebbero diminuire o annullare il loro impegno in progetti fallimentari, lo intensificano pur di non riconoscere i propri errori [17].

Rientriamo ora nei panni dello scrittore di fronte al dilemma del laptop da sostituire, per capire quanti e quali ostacoli, oltre quelli già descritti, si frappongono tra te e la scelta della tastiera più performante. Un primo ostacolo è noto a tutti, in quanto lo sperimentiamo continuamente nella vita di tutti i giorni. Infatti, in tutte le attività che prevedono la valutazione di alternative, tenderai a scegliere molto spesso quella più semplice, che comporta il minimo sforzo da parte tua. E quale è la scelta che comporta il minimo sforzo in questo caso? Quella di non scegliere! Ecco quindi che si materializza il fenomeno dello status quo bias, che ti fa preferire il noto rispetto all’ignoto e che rappresenta una forza molto intensa che si frappone continuamente tra te ed il cambiamento, in tutti gli ambiti della tua vita, compreso quello economico [18].

Anche in questo caso ci viene in aiuto la teoria del prospetto, la quale prevede, per l’appunto, che di fronte ad un potenziale cambiamento attribuiamo un valore eccessivo a ciò che c’è da perdere rispetto a ciò che c’è da guadagnare [19]. Ma non è finita qui. Lo status quo bias, che ti inchioda allo stato attuale rendendoti difficile cambiare, trova il suo alleato naturale nell’inerzia derivante dal zero risk bias, ulteriore distorsione cognitiva causata dal fatto che il rischio di una interruzione di un servizio o di una forte diminuzione della sua qualità è percepito dal consumatore come uno switching cost di valore assoluto molto elevato che ha l’effetto di scoraggiare il cambiamento [20].

Il rischio, intrinsecamente presente in ogni situazione di scelta, produce ansia e conseguenze potenzialmente dolorose e quindi il consumatore preferisce le alternative che lo annullano, cercando di evitare il cambiamento a tutti i costi [21]. Come dovresti quindi affrontare il dilemma della scelta del nuovo laptop nei panni dello scrittore ancora alle prese con la necessità e l’urgenza di trovare il migliore strumento per scrivere il suo nuovo libro?


Photo by Soundtrap on Unsplash

CONSIGLI PER GLI ACQUISTI

Nell’ambito dell’economia dell’informazione il fenomeno del lock-in tecnologico è la norma e non l’eccezione. L’analisi dei costi, con particolare riferimento al calcolo dettagliato degli switching costs e il loro raffronto con i benefici derivanti dal cambiamento, dovrebbe essere alla base della valutazione delle alternative. L’homo oeconomicus deciderebbe di cambiare tecnologia se e solo se i benefici del cambiamento superassero i costi ad esso connessi. E già questo, che sembra semplice a dirsi, è difficile a farsi, in quanto abbiamo visto che gli switching costs sono molteplici, dipendono dal tipo di prodotto/servizio che si intende acquistare e hanno andamenti temporali differenti tra loro.

Le imprese conoscono questo fenomeno meglio dei consumatori e infatti, mentre questi ultimi lo subiscono, le imprese ne sfruttano gli effetti per vincolare ancora più rigidamente i propri clienti, ponendo in essere tutte le azioni possibili per innalzare gli switching costs in modo da rendere molto costoso e poco probabile l’abbandono della propria tecnologia a favore di quella dei concorrenti. Di esempi ne potremmo fare a bizzeffe; basti pensare a tutte le aziende che offrono a prezzi abbordabili accessori complementari ai propri prodotti, compatibili solo con la tecnologia da esse prodotta, in modo da vincolare il consumatore ancora più saldamente nelle sue future scelte di acquisto. 

Le conseguenze del lock-in tecnologico possono essere negative non solo per il consumatore ma anche per il mercato, in quanto molto spesso tale fenomeno ha un suo immediato riflesso nel monopolio dell’impresa che riesce a sfruttare il vantaggio della prima mossa, godendo dei relativi benefici anche a discapito di imprese che sviluppano tecnologie potenzialmente migliori [22]. Una precisa analisi dei costi e dei benefici è quindi una base necessaria per poter prendere la migliore decisione, ma da sola non è sufficiente in quanto le trappole comportamentali che sono state descritte hanno l’effetto di erigere un muro difficile da valicare tra il consumatore e la scelta ottimale.

La contromisura principale da adottare per evitare queste trappole è probabilmente quella racchiusa nella massima “se lo conosci lo eviti”, ma siamo sicuri che la consapevolezza degli errori causati dalle distorsioni cognitive sia sufficiente ad evitarci di caderne comunque preda? Una risposta apparentemente paradossale a questa domanda potrebbe essere quella di utilizzare un’euristica! Infatti, assodato che il problema da risolvere è complesso e che in presenza di problemi complessi l’essere umano tende ad utilizzare scorciatoie mentali, una possibile soluzione potrebbe essere proprio quella di costruire artificialmente un’euristica idonea ad aiutarci a scegliere l’alternativa migliore [23].

In pratica (con netto anticipo rispetto alla decisione da prendere) potremmo costruirci un algoritmo decisionale ritagliato per il nostro specifico problema e seguendolo pedissequamente saremmo sicuri di non cadere vittime di altre scorciatoie mentali diverse da quella che noi stessi abbiamo deciso essere la migliore da utilizzare. Si tratta in definitiva di adottare un approccio al processo decisionale più strategico e a lungo termine, capace di prevedere in anticipo le modalità di valutazione dei costi e dei benefici. Sarà forse troppo da chiedere ad uno scrittore che deve acquistare un nuovo laptop per scrivere il suo ultimo libro?


RIFERIMENTI E BIBLIOGRAFIA


[1] Sholes, C.L., pat. US 207559, issued 27 August 1878.

[2] David, P.A., Clio and the Economics of QWERTY (1985). The American Economic Review, Vol. 75, No. 2, Papers and Proceedings of the Ninety-Seventh Annual Meeting of the American Economic Association, 332-337.

[3] Liebowitz, S.J., & Margolis, S.E., the Fable of the Keys (1990). The Journal of Law & Economics, Vol. 33, No. 1, 1- 25.

[4] Yasuoka, K., & Yasuoka, M., On the Prehistory of QWERTY (2011). Zinbun No. 42, 161–174.

[5] Liebowitz, S. J., & Margolis S.E., Path Dependence, Lock-in, and History (1995). The Journal of Law, Economics, & Organization Vol. 11, No. 1, 205-226.

[6] Shapiro, C., & Varian, H.R., Information rules: a strategic guide to the network economy (1999). Harward Business School Press, 103-171.

[7] Liebowitz, S. J., & & Margolis S.E., Network externality: an uncommon tragedy (1994). The Journal of Economic Perspectives, Vol. 8, No. 2, 133-150.

[8] Farrell, J., & Klemperer, P., Coordination and Lock-In: Competition with Switching Costs and Network Effects (2007). Handbook of Industrial Organization, chapter 31, 1967-2072.

[9] Simon, H.A., Administrative behaviour-2nd edition (1957), Free Press.

[10] Tversky., A., & Kahneman, D., Judgment under Uncertainty: Heuristics and Biases (1974), Science New Series Vol. 185, No. 4157, 1124-1131.

[11] Thaler, R.H., Misbehaving: The Making of Behavioral Economics (2015). W. W. Norton & Company.

[12] Trivers, R. L., Parental investment and sexual selection (1972). Sexual selection and the descent of man: The Darwinian pivot, 1871-1971, Campbell, 136-179.

[13] Arkes, H.R., & Blumer, C., The Psychology of Sunk Cost (1985). Organizational Behavior and Human Decision Processes, No. 35, 124-140.

[14] Arkes, H.R., The Psychology of Waste (1996). Journal of Behavioral Decision Making, No. 9, 213-224.

[15] Kahneman, D., & Tversky, A., Prospect Theory: An Analysis of Decision under Risk (1979). Econometrica, Vol. 47, No. 2, 263-292.

[16] Garland, H., Throwing Good Money After Bad: The Effect of Sunk Costs on the Decision to Escalate Commitment to an Ongoing Project (1990). Journal of Applied Psychology, No. 75, 728–731.

[17] Brockner, J., The Escalation of Commitment to a Failing Course of Action: Toward Theoretical Progress (1992). The Academy of Management Review, Vol. 17, No. 1, 39-61.

[18] Polites, G.L, & Karahanna, E., Shackled to the Status Quo: The Inhibiting Effects of Incumbent System Habit, Switching Costs, and Inertia on New System Acceptance (2012). MIS Quarterly, Vol.36, No.1, 21-42.

[19] Kahneman, D., Knetsch, J.L., & Thaler, R.H, Anomalies: The Endowment Effect, Loss Aversion, and Status Quo Bias (1991). Journal of Economic Perspectives, Vol. 5, No. 1, 193–206.

[20] Rajeev Gowda, M.V., Heuristics, Biases, and the Regulation of Risk (1999). Policy Sciences, Vol.32, No.1, 59-78.

[21] Taylor, J. W., The Role of Risk in Consumer Behaviour (1974). Journal of Marketing, Vol. 38, No. 2, 54-60.

[22] Singh, N., & Massaro, D.W., Review: Now You See It, Now You Don’t (2000). The American Journal of Psychology, Vol. 113, No. 1, 123-135.

[23] Otuteye, E., & Siddiquee, M., Overcoming Cognitive Biases: A Heuristic for Making Value Investing Decisions (2015). Journal of Behavioral Finance, No. 16, 140-149.

Vuoi ricevere altri contenuti come questo direttamente nella tua mail?
Iscriviti al form in basso, ti manderemo un articolo al mese – fresco di editing e non una mail in più.

Iscriviti alla newsletter del nostro Blog

* indicates required

L’ Autore

Massimiliano Mariconda è un ingegnere, con una lunga esperienza nel campo dell’economia dell’informazione in istituzioni pubbliche e private. Esperto di appalti pubblici nazionali ed internazionali e di digitalizzazione dei procedimenti amministrativi, si interessa di economia comportamentale e delle sue ripercussioni nelle dinamiche decisionali individuali e delle organizzazioni.

Lascia un commento