Neuroeconomia e Neuromarketing: natura e cultura dietro alle nostre scelteTempo di lettura stimato: 9 min

di Riccardo Palumbo

Ad aprile ho partecipato a quello che probabilmente è stato il convegno più interessante di quest’anno. Se non altro perché si è svolto a Napoli, una città unica che invita continuamente a riflettere sul rapporto natura – cultura. Eravamo più di 500 partecipanti. Si parlava del futuro. Tra i keynote speakers di una sessione plenaria un noto filosofo italiano spiegava come la tecnica è arrivata a prevalere sull’uomo.

Con la sua presentazione ha trasmesso al pubblico in sala il fascino della cultura umanistica con riferimenti che spaziavano da Platone ad Heidegger alle più importanti vicende storiche che hanno segnato il ’900. Al termine della presentazione ha ricevuto uno degli applausi più caldi del convegno. Anch’io ero ovviamente tra quelli che lo applaudivano, affascinato dalla capacità di sintetizzare tanti elementi e collegare tanti punti importanti della nostra storia. In effetti però non condividevo né le sue premesse né di conseguenza parte delle sue conclusioni.

Epimeteo e Pandora – Agostino Carracci

Il filosofo aveva raccontato le vicende – narrate da Platone – di Prometeo ed Epimeteo (in questa rappresentazione insieme a Pandora) e di come Epimeteo distribuì gli “istinti” tra gli animali fino a quando, arrivato all’uomo, si accorse che non ne restavano più. L’uomo differirebbe dunque dagli animali – a detta del filosofo – per l’assenza degli istinti, in luogo dei quali gli fu donata la perizia tecnica e l’arte del fuoco.

Questo è un punto molto importante. Una parte della cultura classica ha ignorato per molto tempo, anche negli studi economici, che il comportamento degli esseri umani è determinato dalla loro natura, oltre che dalla loro cultura, e che natura e cultura sono legate da un rapporto di reciproco condizionamento.

Nel terzo millennio non possiamo certo ignorare l’evoluzionismo e le scoperte scientifiche sul modo in cui la nostra biologia determina il nostro comportamento.

Non veniamo al mondo come una “tabula rasa” che acquisisce esclusivamente in vita un modo di comportarsi in funzione dell’educazione e delle contaminazioni sociali ed ambientali. Nasciamo già dotati di “regole di funzionamento”, scritte nei nostri geni, anche se molte di queste hanno bisogno di essere attivate dall’esperienza [1].

Neuroeconomia e Neuromarketing

Siamo creature biologiche, tutto ciò che siamo ha origine da un processo biologico.

La neuroeconomia studia le basi neurali delle nostre decisioni economiche; il neuromarketing studia le basi neurali di una parte di tali decisioni: le decisioni di acquisto/consumo.

Già Adam Smith, nella sua Teoria dei sentimenti morali, suggeriva che la coscienza e il

Teoria dei sentimenti morali, Adam Smith

comportamento positivo degli uomini sono parti intrinseche della loro struttura psicologica e sono attivate in modo alquanto naturale dalle relazioni sociali.

Nel suo libro Adam Smith descrive un acrobata che cammina sospeso su una corda oscillando nell’aria. Gli spettatori, sotto di lui, oscillano anch’essi, quasi a voler imitare il movimento dell’acrobata.

Oggi spieghiamo questo comportamento con i neuroni specchio, i “neuroni dell’empatia”, tanto importanti che Vilayanur Ramachandran ne ha paragonato la scoperta a quella del DNA.

I neuroni specchio

Con il suo gruppo di ricerca Rizzolatti scoprì che in alcune aree del cervello di un macaco vi sono neuroni che rispondono in modo selettivo a gesti aventi un certo scopo. Il neurone specchio risponde allo scopo di un gesto, non al gesto in sé, sia quando il gesto è eseguito sia quando il gesto è semplicemente osservato.

I neuroni specchio consentono di comprendere le intenzioni che guidano i gesti altrui, sono alla base dell’empatia e della nostra capacità di comprendere gli altri. Anche grazie ai neuroni specchio l’uomo ha potuto iniziare il proprio apprendimento per imitazione, riuscendo così a «leggere» l’azione altrui come se fosse la propria, dando avvio al formarsi della cultura (per un approfondimento del tema ti consiglio di leggere “In te mi specchio”, testo in cui Rizzolatti si racconta e spiega – con semplicità e chiarezza esemplari – come siamo biologicamente costruiti per stare insieme agli altri e condividere con loro le nostre emozioni).

Dunque, la cultura trae la sua origine dalla natura. L’evoluzione non lascia spazio a spiegazioni alternative.

Ultimatum game

L’economia ortodossa non ne ha tenuto conto quando ha edificato le proprie teorie sull’ipotesi dell’homo oeconomicus, ossia di un soggetto razionale che massimizza continuamente la propria utilità. Un soggetto che mette al primo posto il tornaconto personale.

È stato sufficiente un esperimento basato su un gioco – chiamato ultimatum game [2] – per scuotere l’intero “edificio”.

Come funziona il gioco?

Ultimatum Game

Immagina di essere coinvolto in questa attività insieme ad un altro giocatore che chiameremo proposer.

Il gioco non si ripete ed è anonimo.

Sai che abbiamo dato al proposer 100 euro per giocare. Il proposer dovrà decidere quale parte dei 100 euro offrirti sapendo che:

  • se accetti, tu tieni per te la somma proposta e il proposer tiene il resto;
  • se non accetti nessuno prende niente.

Ad esempio, il proposer ti propone la seguente ripartizione della somma:

  • 5 euro per te e 95 euro per sé

Se accetti, tu guadagni 5 euro e il proposer ne guadagna 95. Se rifiuti entrambi andate via a mani vuote. Che fai, accetti?

Un homo oeconomicus accetterebbe qualunque somma positiva, anche 1 euro, perché quella è la decisione che massimizza il suo tornaconto.

Le persone “in carne ed ossa” tendono a non accettare somme sotto al 30% del monte premi.

Dunque l’esperimento dimostra che quando il tornaconto personale entra in conflitto con il senso di equità il comportamento potrebbe deviare dalla pura razionalità

Questa deviazione è dovuta alla nostra cultura, o più in generale all’ambiente in cui siamo cresciuti, o alla nostra natura?

L’ultimatum game è stato ripetuto in risonanza magnetico funzionale e si è scoperto che, quando ci vengono fatte proposte che giudichiamo inique, si attiva una parte del cervello chiamata insula, la quale è tra l’altro associata al disgusto.

Insomma, tendiamo a non accettare un’offerta che reputiamo iniqua perché ci crea disgusto. La nostra natura gioca un ruolo determinante sul nostro comportamento.

L’ultimatum game è solo uno dei molteplici esempi di come la ricerca comportamentale e neuroeconomica abbiano condotto a un ripensamento delle fondamenta della disciplina economica.

Natura e cultura sono intimamente legate.

Cultura & Natura: la Pepsi Challenge

Se è vero che la natura, a un certo punto della storia evolutiva dell’uomo, ha iniziato a generare la cultura, è anche vero che la seconda può influenzare la prima. Un noto esperimento dimostra come le preferenze culturali possano  influenzare l’attività cerebrale (dunque la nostra natura).

John Fornander on Unsplash

Chiunque abbia maturato esperienza nel marketing conosce la storia della Pepsi Challenge.

Nel 1975 i dirigenti della Pepsi Cola Company decisero di lanciare con grande clamore pubblicitario un esperimento denominato appunto Pepsi Challenge [3].

L’esperimento era semplicissimo. Furono allestite prove di assaggio cieco (blind test) in migliaia di centri commerciali e supermercati e furono registrate le preferenze di chiunque, uomo, donna o bambino, si rese disponibile per la prova. Un bicchiere conteneva Pepsi cola, l’altro Coca-cola.

Più della metà dei volontari preferirono il gusto della Pepsi a quello della Coca cola. I dirigenti di Pepsi ritennero dunque che il proprio prodotto avrebbe eroso quote di mercato della Coca cola in modo sostanzioso.

Inutile sottolineare che la previsione si dimostrò errata.

Il dibattito è stato vivo per molti anni e si è basato sul seguente dilemma: perché i consumatori preferiscono la Pepsi ma comprano la Coca cola?

Una possibile spiegazione è legata al fatto che la Pepsi challenge era un “test del sorso”. Per un sorso le persone tenderebbero a preferire il prodotto più dolce (in questo caso la Pepsi), il che potrebbe non accadere per il consumo di un’intera lattina (per approfondimenti ti invito a leggere “Neuromarketing” di Martin Lindstrom, un libro che fornisce diversi aneddoti su come il cervello, il brand e le emozioni guidano le scelte del consumatore).

Le tecniche di Neuromarketing sviluppate in anni più recenti avrebbero potuto misurare il ruolo della dimensione emotiva che guida la scelta tra Pepsi e Coca-cola.

Uno degli studi più importanti del Neuromarketing, in effetti uno studio con dichiarate finalità mediche pubblicato su Neuron, ha indagato il modo in cui le associazioni tra aspettative favorevoli e brand alterano i segnali di valore sperimentati. [4]

Circa 30 anni dopo la Pepsi Challenge McClure e colleghi hanno replicato l’esperimento utilizzando sia le tecniche classiche di indagine (self report) sia la scansione in risonanza magnetico-funzionale.

Il fine era quello di valutare quale parte il cervello si fosse attivata con l’assaggio in condizioni blind e in condizioni di visione della marca.

La parte comportamentale dello studio ha confermato che, in condizioni blind, i partecipanti non sono in grado di distinguere le due cola e ha evidenziato che le preferenze dichiarate sono influenzate da quella che gli stessi ritengono sia la marca di cola che stanno assaggiando.

La parte più interessante dello studio è quella effettuata in risonanza magnetico-funzionale. Lo studio infatti ha dimostrato come, nelle due condizioni di assaggio (blind / non blind), si attivavano aree diverse del cervello nella degustazione di Coca-cola e Pepsi cola.

Facendo assaggiare le due cola dicendo ai partecipanti che si trattava (prima condizione) di Coca-cola (anche quando era Pepsi) e (seconda condizione) di Pepsi (anche quando era Coca-cola), si è scoperto che, mentre credere di bere Pepsi non produceva risultati di rilievo, ritenere di bere Coca-cola si associava a cambiamenti di attività nelle aree cerebrali associate alla memoria. Quando pensiamo di bere Coca-cola automaticamente recuperiamo dalla memoria tutto il vissuto delle campagne pubblicitarie del marchio, campagne che probabilmente ci accompagnano dalla prima infanzia e tale attività mnemonica si associa a un incremento dell’attività cerebrale legata alla valutazione delle esperienze piacevoli.

Il marketing può essere impiegato per costruire un brand così forte da entrare nella nostra cultura e influenzare la nostra biologia.

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Possono esserci diverse ragioni per le quali è utile comprendere il comportamento umano. In ogni caso lo studio del comportamento umano non può prescindere dallo studio della nostra natura, una natura così forte che ci porta a prendere decisioni di cui molto spesso non siamo consapevoli.

 

P.S. Il lettore attento avrà osservato che non era indispensabile riportare l’immagine di Epimeteo e Pandora per supportare questo racconto. La verità è che ho pensato di sfruttare anch’io la natura umana per rendere l’articolo più “vendibile” basandomi su una delle scoperte più “antiche” del marketing: il nudo fa vendere! 😉

 

Bibliografia

(1) sul tema confronta Rizzolatti, G. (2016). In te mi specchio. Per una scienza dell’empatia, BUR, p. 41.

(2) Güth, W., Schmittberger, R., & Schwarze, B. (1982). An Experimental Analysis of Ultimatum Bargaining. Journal of Economic Behavior & Organization, 3, 367-388.

(3) Lindstrom, M. (2008). Neuromarketing. Attività cerebrale e comportamenti d’acquisto, Maggioli Editore.

(4) McClure, S. M., Li, J., Tomlin, D., Cypert, K. S., Montague, L. M., Montague P. R. (2004). Neural Correlates of Behavioral Preference for Culturally Familiar Drinks, Neuron, 44, 379–387.

 

Immagine in evidenza: Ta Promh Temple – Cambodia

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