La ricchezza è appannaggio di pochi: sarà possibile invertire la tendenza?Tempo di lettura stimato: 13 min

di Bice Di Basilio

In un periodo storico, che si distingue per l’aumento del divario tra chi ha troppo e chi ha troppo poco, cresce sempre più il numero di milionari, tanto che tra 25 anni potremmo imbatterci nel primo ‘trillionario’ con una ricchezza superiore ai 1.000 miliardi di dollari (IlSole24Ore, 2017).
Questo trend crescente, caratterizzato dalla concentrazione delle fortune nelle mani di un’esigua minoranza, è un fenomeno globale; fonte di dibattito da parte dell’intera collettività viste le sue implicazioni, sia sul piano economico che su quello sociale.

A più di dieci anni dall’inizio della crisi finanziaria, sommando le ricchezze dei sei milioni di italiani più poveri, la cifra ottenuta non raggiunge neppure il patrimonio detenuto dai tre miliardari più ricchi del Paese (Del Vecchio, Ferrero e Pessina secondo la rivista Forbes). Alla fine del primo trimestre 2019 la ricchezza italiana netta ammontava a 9.297 miliardi di euro, il cui 70% era concentrato nelle mani del 20% più abbiente. Il successivo 20% più ricco era titolare del 16.9% del patrimonio nazionale mentre il 60% più povero ne possedeva a malapena il 13.3%. A livello globale questa tendenza si attesta ed è inarrestabile. Nel mondo 2.153 miliardari possiedono, infatti, una ricchezza superiore al patrimonio di 4.6 miliardi di persone, mentre alla metà più povera spetta meno dell’1% (IlSole24Ore, 2020).

Cos’è la ricchezza?

Con il termine ricchezza ci riferiamo all’insieme dei beni economici e finanziari posseduti da un certo individuo (beni materiali mobili ed immobili, denaro, obbligazioni, azioni, depositi, …).

Essa può essere analizzata sia dal punto di vista statico che da quello dinamico. In particolare, è il patrimonio a rappresentare la ricchezza sotto il profilo statico, essendo costituito dall’insieme dei beni posseduti da un individuo in un certo istante temporale. Al contrario, il reddito, che raffigura la ricchezza in senso dinamico, è il flusso di beni prodotti da un soggetto in un certo arco temporale. Pertanto, nel primo caso la ricchezza è intesa come fondo mentre nel secondo come flusso.

Photo by Sharon McCutcheon on Unsplash
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Come si diventa ricchi?

Una risposta a questa allettante domanda ci è fornita dall’economista francese Thomas Piketty, il quale osserva che esistono essenzialmente due modi per accumulare ricchezza (Piketty, 2013). Il primo è intuitivamente costituito dal lavoro e permette, in linea di principio, la realizzazione di una società meritocratica. Il secondo, invece, consiste nell’ereditare fortune. In quest’ultimo caso si crea una società di ‘rentiers’ molto simile a quella descritta nei romanzi di Jane Austen e di Balzac, in cui ‘non importa quanto lavori, qualunque carriera non potrà mai eguagliare un buon matrimonio’. Questa visione cinica della vita evidenzia come, per quanto si possa investire nel proprio futuro, non si raggiungerà mai la ricchezza di chi ha ereditato un patrimonio.

In sistemi in cui l’eredità ha un peso maggiore rispetto al lavoro ‘il passato divorerà il futuro’ e la disuguaglianza diventerà sempre più elevata fino a rappresentare un freno, e non un motore, per la crescita economica.

Cos’è la Top Income Share?

Con l’espressione Top Income Share si indica la quota di reddito complessivo detenuta dall’X% più ricco della popolazione. Solitamente ci si concentra sull’ultimo decile (10% più ricco).

L’interesse verso il ruolo dei super-ricchi nei meccanismi di generazione di disuguaglianza ha permesso la nascita di una nuova letteratura, tutta dedicata ai top incomes. Si tratta di un recente approccio sviluppato da Piketty, insieme ai colleghi Atkinson e Saez, che permette l’analisi della disuguaglianza nel reddito nel lungo periodo, focalizzandosi solo sulla coda alta della distribuzione (Atkinson et al., 2011). Di base, questa metodologia richiede la costruzione di una lunga serie storica delle Top Income Shares per ciascuna Nazione, in modo da poter effettuare, per quanto possibile e tenendo conto delle specificità, delle comparazioni intra ed inter Paese.

L’elemento peculiare di questa nuova letteratura risiede nella convinzione che la Top Income Share sia un buon indicatore del grado di concentrazione della distribuzione del reddito. Infatti, essa costitusce una sorta di proxy della disuguaglianza, sostitutiva di altri indicatori sintetici’ (Pisano, 2007).

Cosa causa un’iniqua distribuzione della ricchezza?

La domanda è complessa e la risposta non è per nulla scontata. Secondo gli economisti Franzini e Pianta esistono quattro ‘motori’ di disuguaglianza (Franzini et al., 2016).

  • Primo, il potere del capitale sul lavoro che si afferma a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso, principalmente per due motivi: l’ascesa della finanza, vista come nuova fonte di accumulazione di capitale, e l’apertura dei mercati con il conseguente aumento degli scambi commerciali. Questa combinazione ha comportato sia l’incremento della disuguaglianza causata dal crescente valore delle attività finanziarie sia l’aumento, sconsiderato, dei redditi dei ricchissimi, dovuto agli eccessivi compensi di manager, banchieri e di poche altre classi di privilegiati.
  • Secondo, il capitalismo oligarchico che è il frutto di una disuguaglianza caratterizzata dalla forte concentrazione della ricchezza nelle mani di una vera e propria casta, ‘l’aristocrazia del denaro’. Il modo in cui tale ricchezza viene ottenuta ha sempre meno a che vedere con processi competitivi; bensì è il frutto di rendite monopolistiche piuttosto che di bolle finanziarie o immobiliari. I super-ricchi assumono le sembianze di ‘oligarchi’ la cui ricchezza è sempre più spesso svincolata dal merito e tipicamente, trasmessa di generazione in generazione.
  • Terzo, l’individualizzazione delle condizioni economiche che, a differenza dei precedenti due processi, spiega le diversità esistenti non tra i super-ricchi ma nella restante parte della popolazione. ‘L’individualizzazione’ si riferisce alla precarizzazione avvenuta attraverso la proliferazione di varie tipologie contrattuali (part-time, a tempo determinato, a partita Iva, …), alla contrattazione individuale, all’indebolimento dei sindacati ed alla riduzione della protezione legislativa nel mercato del lavoro. Un mix che ha creato incertezza ed offuscato le prospettive future, soprattutto dei più giovani.
  • In ultimo, l’arretramento della politica causato dai cambiamenti nelle politiche pubbliche adottate nella maggioranza dei Paesi avanzati. Mentre gli anni ‘70 si sono distinti per la varietà di politiche e di manovre attuate dagli Stati per ridurre il divario ricchi-poveri, gli anni ‘80 hanno rappresentato una decisa inversione di tendenza. Difatti, le nuove politiche hanno abbracciato i concetti di liberalizzazione e di deregolamentazione. Molte attività pubbliche sono state privatizzate, sono state incentivate sia le imprese private che la finanza, limitando ogni forma di regolamentazione. E come risultato, la rottura degli schemi precedenti, ha prodotto un incremento di diseguaglianza.

Complessivamente, la combinazione di questi quattro processi ha generato, negli ultimi trent’anni, una dilatazione della forbice ricchi-poveri, creando una società sempre più diseguale.

Photo by Jonathan Kho on Unsplash
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In che modo l’economia comportamentale può spiegare e combattere le diseguaglianze?

Anche l’economia comportale prova a capire cosa c’è alla base della disparità ricchi-poveri. In particolare, questa branca dell’economia utilizza un approccio nuovo, empirico, non basato solo su meri modelli teorici che spesso tendono a tralasciare dettagli rilevanti delle realtà.

Molto interessante è lo studio condotto da Côté e Willer (2015) i quali analizzano, con sondaggi ed esperimenti, la relazione ricchezza-generosità. In dettaglio, gli autori invitano i partecipanti all’esperimento a giocare al ‘dictator game’, manipolando il livello di diseguaglianza.

Dalla sperimentazione emergono essenzialmente due evidenze, che non dipendono solo dal livello di ricchezza del partecipante ma anche dallo stato di diseguaglianza economica.  Infatti, i partecipanti con un reddito più elevato, operanti in un contesto con una diseguaglianza maggiore (coefficiente di Gini=0.53), hanno mantenuto per sé il 70% della propria dotazione, concedendo solo il 30% al proprio partner. Al contrario, i partecipanti con reddito più elevato, operanti in un contesto con minore diseguaglianza (coefficiente di Gini=0.42), hanno conservato circa il 45% della loro dotazione, inviando il restante 55% al proprio collega. Il primo risultato mostra un mantenimento dello status quo in cui i ricchi tendono a rimanere tali e ad essere meno generosi verso chi ha meno. Il secondo invece, evidenzia una riduzione del livello originale di diseguaglianza a seguito di un maggiore generosità dei ricchi verso i poveri.

Queste evidenze fanno riflettere sulla possibilità di indurre cambiamenti nei comportamenti dei più abbienti. Ad esempio, si può pensare di nascondere la ricchezza degli altri giocatori facendo in modo che i soggetti non sappiano chi altro è ricco o povero, così da incentivare la cooperazione ricchi-poveri ed ottenere risultati equi (Nishi et al., 2015). Altrettando interessante è comprendere quali siano i comportamenti, in primis redistributivi, tipici dei ricchi, vista la loro crescente influenza, in alcuni Paesi più che in altri, sulla politica pubblica (Fisman et al., 2015).  Analisi di questo tipo possono rivelarsi davvero fondamentali nella lotta ‘reale’ alla diseguaglianza.

L’economia comportamentale può spiegare le differenze di ri- distribuzione della ricchezza?

Prima di provare a rispondere alla domanda dobbiamo ricordare che l’economia comportamentale sfida i dogmi dell’economia classica, abbandonando l’idea dell’homo oeconomicus per lasciare spazio all’individuo in quanto tale, soggetto ad influenze sociali.
Molti dei suoi contributi in tema di disuguaglianza economica si focalizzano sui concetti di avversione alla diseguaglianza, di altruismo e di correttezza.

 L’avversione alla diseguaglianza è intesa come ‘una forma condizionata di altruismo ed invidia. Un individuo è avverso alla diseguaglianza se la sua funzione di utilità dipende positivamente non solo dal proprio risultato, ma anche dal modo più o meno ugualitario in cui si distribusicono le risorse tra gli individui’ (Fulvimari, 2011).

Diversi esperimenti, come l’ultimatum game o il dictator game, nei quali veniva chiesto a gruppi di individui di distribuire delle somme di denaro tra i propri colleghi e sé, hanno messo in evidenza il ruolo dell’altruismo. I risultati sperimentali mostrano come le persone si comportino in modo altruistico, e non egoistico come gli economisti classici si attenderebbero. Addirittura, l’altruismo sembra essere un fenomeno universale che mostra solo piccole differenze tra Paesi e comunità (Cardenas et al., 2008).

Ci si è chiesto, inoltre, quanto i giudizi degli individui sulla distribuzione dei redditi siano guidati da ciò che ritengono moralmente ‘giusto’. A questo proposito Falk et al. (2008) mostrano che la correttezza conta a tal punto che spesso gli individui preferiscono un’alternativa percepita come ‘giusta’, rispetto ad un’alternativa che massimizza la propria utilità.

Nel complesso, tutte queste analisi provano a far luce sul tema della diseguaglianza economica ed in particolare sulle redistribuzioni, tenendo a mente che gli individui sono parte integrante di una comunità con la quale condividono valori e dai quali molto spesso vengono influenzati nel processo decisionale.

Quali effetti avrà l’epidemia di Covid-19 sulla diseguaglianza?

Lo storico austriaco Scheidel mostra come eventi drammatici, quali le epidemie, possono avere effetti positivi sulla disparità ricchi-poveri, fino a ridurla drasticamente (Scheidel, 2017). Storicamente, gli eventi catastrofici insieme alla guerra di mobilitazione di massa, alle rivoluzioni ed al crollo dello Stato sono state i “quattro cavalieri” del livellamento, che ripetutamente hanno distrutto le fortune dei più ricchi.

Il clima di generale incertezza nel quale viviamo ci porta a riflettere su quelle che saranno le conseguenze del Covid-19 sulla diseguaglianza.

Spesso si è sottolineato come la pandemia in corso sia iniqua, nonostante apparentemente non conosca né confini geografici né distinzioni economiche. La sua iniquità risiede nell’influenza che le condizioni economiche di partenza di ciascun individuo hanno sull’esposizione al rischio. Infatti, condizioni economiche più agevoli non cancellano il rischio, mentre quelle più sfavorevoli possono renderlo più elevato.

Le epidemie del passato causarono un alto numero di morti e quindi una forte contrazione dell’offerta di lavoro, con conseguente aumento dei salari reali. Si stima che la peste nera del ‘300 abbia causato la morte di circa un terzo della popolazione europea, colpendo in modo piuttosto omogeneo tutte le fasce di età della popolazione. Al contrario, il Covid-19 non sta avendo un impatto rilevante sulla forza lavoro, perlomeno ad oggi: sia perchè la mortalità  resta più bassa rispetto delle altre epidemie, sia perché i decessi sono realitivi soprattutto alla popolazione più anziana, non più in età lavorativa; anche se i dati sono in continua evoluzione. In aggiunta, la crisi economica che è seguita al lockdown ha determinando una crescita della disoccupazione che presumibilmente produrrà una riduzione dei salari reali per alcuni anni (Luiss Open, 2020).

Pertanto, appare incerto se questo effetto “virtuoso” delle epidemie sulla diseguaglianza questa volta si verificherà o meno.

La distribuzione della ricchezza: in conclusione…

Le disuguaglianze non sono un fatto naturale, ma sono il risultato storicamente determinato dall’interazione tra attori politici, economici e sociali. Urge riportare all’attenzione delle Istituzioni la sfida alla riduzione del divario ricchi-poveri affinché, con opportuni strumenti, venga garantito a tutti un accesso il meno differenziato possibile a risorse economiche, sociali e naturali. In quest’ottica è interessante il contributo fornito dal Forum Disuguaglianze Diversità (ForumDD) nel rapporto ’15 proposte per la giustizia sociale’, in cui vengono avanzati ben 15 progetti, ispirati al pensiero dell’economista Atkinson e volti a ridurre le disuguaglianze. Sostanzialmente, esse mirano ad agire sul cambiamento tecnologico, sul rapporto lavoratore-impresa e sul passaggio generazionale, che sono i principali processi di creazione e di accumulo di ricchezza, al fine di invertire le tendenze attuali e dar vita ad una società più equa.

Bibliografia

  1. In Italia l’1% più ricco possiede il 25% della ricchezza nazionale. IlSole24Ore (16 gennaio 2017)
  2. L’Italia dell disuguaglianze: 3 miliardari più ricchi di 6 milioni di poveri. IlSole24Ore (20 gennaio 2020).
  3. Piketty T (2013).  Le Capital au XXIe siècle. Editions du Seuil.
  4. Atkinson A B, Piketty T, Saez E. Top Incomes in the Long run of History. Journal of Economic Literature (2011), Vol.49, No.1, pp. 3-71.
  5. Pisano E. I super-ricchi e la disuguaglianza dei redditi: l’evoluzione dei top incomes in Occidente nell’ultimo secolo. Meridiana (2007), No.59/60, pp. 189-214.
  6. Franzini M, Pianta M (2016). Disuguaglianze. Quante sono, come combatterle. Laterza.
  7. Côté S, House J, Willer R. High economic inequality leads higher-income individuals to be less generous. Proceedings of the National Academy of Sciences (2015), Vol.112, No.52, pp. 15838-15843.
  8. Nishi A, Shirado H, Rand DG, Christakis NA. Inequality and visibility of wealth in experimental social networks. Nature (2015), Vol.526, pp. 426-429.
  9. Fisman R, Jakiela P, Kariv S, Markovits D. The distributional preferences of an elite. Science (2015), 349(6254): aab0096.
  10. Fulvimari A. Oltre l’homo oeconomicus. Un’analisi critica dell’ipotesi di avversione alla disuguaglianza. Meridiana (2011), No.71/72, pp173-195.
  11. Cardenas J C, Carpenter J. Behavioural Development Economics: Lessons from Fields Labs in the Developing World. Journal of Development Studies (2008), Vol.44, No. 3, pp. 311-338.
  12. Falk A, Fehr E, Fischbacher U. Testing Theories of Fairness-Intentions Matter. Games and Economic Behaviour (2008), Vol.62, No.1, pp.287-303.
  13. Scheidler W (2017). The Great Leveler: Violence and the History of Inequality from the Stone Age to the Twenty-First Century, Princeton: Princeton.
  14. Il virus che accentua le diseguaglianze. Luiss Open (22 Aprile 2020).
  15. Forum Disuguaglianze Diversità (2020). Quindici proposte per la giustizia sociale. Il Mulino.

L’autrice

Bici Di Basilio è una dottoranda di ricerca del dottorato in Business & Behavioral sciences. I suoi interessi di ricerca riguardano principalmente la matematica e l’econometria finanziaria.

4 commenti

  • Ciao Bice e complimenti per l’articolo. Cosa ne pensi del fatto che i risultati che di solito mostrano esperimenti come l’ultimatum game sembrano essere smentiti da questo aumento della concentrazione della ricchezza? L’uomo sembra generoso quando partecipa ad un esperimento, ma nella realtà, influenze esterne lo portano ad essere molto più “homo economicus” di quanto non sia?

    grazie mille,
    Ciao,
    Emilio

  • Ciao Emilio, grazie della domanda.
    Personalmente credo che la contraddizione tra i risultati sperimentali ed i dati reali sia dovuta al fatto che nella realtà l’uomo sia condizionato da tanti, diversi e spesso troppo forti fattori esterni che lo spingono ad essere un ‘homo oeconomicus’, tipicamente egoista ed interessato alla massimizzazione della propria utilità.

    Ciao,
    Bice

  • Complimenti per l’analisi. Mi ha colpito molto. Ho ripensato a quanto scritto e discusso nel corso dell’ultimo anno con economisti – studenti in economia – sull’annoso problema di mettere mano alla redistribuzione del reddito, proprio alla luce della crisi pandemica. Potremmo risentirci per scambiare qualche idea più approfondita.

    • La ringrazio per il commento. Mi farebbe molto piacere scambiare idee più approfondite sulla tematica.

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