La componente corporea dei processi decisionaliTempo di lettura stimato: 16 min

di Sara Ferracci

Volendo riproporre l’incipit di un noto scritto di Barsalou del 2003, per leggere al meglio questo articolo, traendone i più alti benefici, dovresti farlo mentre tieni una postura ben dritta sulla sedia, una mano sotto il tavolo mentre premi con il palmo verso l’alto e una penna stretta tra i denti con la punta ben rivolta in avanti. Solo così, ci spiega l’autore, sarà possibile ottenere un risultato ottimale durante la lettura! Il perché lo capirai alla fine…

Anche se non ce ne rendiamo conto, infatti, gli stati del corpo, come appunto la postura, i movimenti delle braccia, della testa, le espressioni del viso, possono influenzare diversi aspetti del nostro comportamento. A dirci questo sono alcune ricerche che, manipolando determinate regioni del corpo, vanno ad influenzare quelli che sono atteggiamenti, preferenze e decisioni, anche economiche. Tali fattori sarebbero influenzati dal significato sociale che i gesti presi in considerazione veicolano.

Il corpo è infatti in grado di veicolare una serie di informazioni che, se indagate e comprese a fondo, potranno arricchire la nostra conoscenza sulle dinamiche dei processi decisionali, sia in contesti individuali che sociali. Questi studi affondano le proprie radici nell’Embodied Cognition, una prospettiva teorica che considera appunto come fondamentali gli stati corporei e le conseguenti interazioni sensorimotorie con il mondo esterno, al fine di comprendere gli stati cognitivi che questi vanno ad influenzare.

Espressioni facciali e processi decisionali

Tra i primi studi troviamo quello realizzato nel 1988 da Strack e colleghi. Nel loro curioso ed interessante esperimento gli autori vanno a manipolare l’espressione facciale dei loro partecipanti tramite l’ausilio di una semplice penna: in un primo caso la penna veniva fatta tenere tra le labbra, di modo tale da simulare un’espressione imbronciata, corrucciata; nel secondo caso, veniva invece fatta tenere tra i denti, di modo tale che il partecipante fosse indotto ad utilizzare gli stessi muscoli facciali che si utilizzando quando si sorride spontaneamente.

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Del tutto ignari dello scopo reale dell’esperimento, i candidati venivano successivamente invitati a valutare alcune vignette comiche tratte da un cartone animato. Ne è risultato che coloro che avevano assunto un’espressione più positiva, e quindi di sorriso, valutavano in modo più divertente le vignette rispetto a quelli che invece avevano assunto un’espressione imbronciata, e quindi maggiormente negativa. In questo semplice modo è stato quindi possibile indirizzare il giudizio legato ad un determinato stimolo in una direzione più positiva, senza che i partecipanti ne fossero realmente consapevoli.

Lo stesso tipo di manipolazione è stata successivamente ripresa, tra gli altri, anche in un più recente studio di Parades e colleghi, condotto nel 2013. Nell’esperimento in questione veniva richiesto ai partecipanti di valutare il comportamento organizzativo di alcuni dipendenti, dopo aver letto la storia di una loro giornata buona (ricca di successi lavorativi e culminata con una promozione) oppure cattiva (costellata da fallimenti e terminata con un licenziamento). Dopo aver scritto le loro valutazioni, i candidati venivano sottoposti alla manipolazione dell’espressione facciale tramite l’ausilio della penna e dai risultati ne è emerso che quando venivano indotti a sorridere valutavano la storia come più positiva (su una scala da 1 a 9) rispetto all’iniziale opinione che avevano trascritto prima di sottoporsi alla manipolazione stessa.

Rispetto al precedente, quest’ultimo esperimento ci dimostra come determinati stati corporei possano non solo favorire un determinato atteggiamento rispetto ad uno stimolo selezionato, ma anche modificarlo rispetto ad un’opinione precedentemente espressa.

Posture e processi decisionali

La copertina The New Yorker del 5 Dicembre del 2005 che mostra Bush e Cheney.

In una ricerca del 2011, Huang e colleghi mostrano nel loro articolo una singolare vignetta caricaturale. Il disegno, realizzato per la copertina del The New Yorker del 5 Dicembre del 2005, mostra l’allora presidente George Bush e il vicepresidente Dick Cheney. Il presidente viene ritratto in una posa rilasciata, chiusa e curva, mentre il vicepresidente Dick Cheney viene rappresentato in una postura più potente ed espansiva.

Il risultato d’insieme è che, nonostante nella realtà sia la figura del presidente ad avere un ruolo di maggior potere rispetto ovviamente al suo vicepresidente, l’impressione visiva che abbiamo, e che il disegnatore voleva presumibilmente far trasparire, ci suggerisce l’esatto contrario. Indipendentemente dai reali ruoli ricoperti, indipendentemente dalla reale gerarchia, sarà infatti Dick Cheney, nella sua postura aperta ed espansiva, a comunicarci quel chiaro senso di potere e leadership.

Un esempio questo che ci introduce ad alcuni studi recenti che hanno esplorato gli effetti di specifiche posture corporee su comportamenti ed attitudini legate al potere. Tali posture sono identificabili rispettivamente in una postura espansiva ed aperta (solitamente chiamata high-power posture), ovvero una manifestazione fisica che gli individui adottano quando sono rilassati e pronti ad impegnarsi nelle interazioni sociali (Wood et al., 1990) e una postura chiusa (solitamente chiamata low-power posture), che, al contrario, viene adottata quando si ci sente minacciati nei confronti dell’altro, segnalando una mancanza di desiderio di interagire. L’adozione di una postura chiusa aumenterebbe infatti la sensibilità rispetto alla valutazione altrui (Keltner et al., 2003) e può attivare il sistema di inibizione comportamentale (Anderson & Galinsky, 2006), con conseguente ridotta espressività, gesti e contatti con l’ambiente (Bernstein, 1973; Anderson & Berdahl, 2002; Zloteanu & Richardson, 2019).

In Garrison e colleghi (2016) possiamo trovare un efficace riassunto che, seppur ovviamente non comprensivo della totalità delle ricerche svolte in quest’ambito, può offrire una panoramica piuttosto evocativa degli effetti ottenuti semplicemente inducendo i partecipanti ad assumere una posa espansiva. Gli esempi includono:

Troviamo un esempio interessante anche per quanto riguarda l’acquisto di determinati prodotti, in una ricerca di Yang, svolta nel 2015. Facendo semplicemente in modo che i consumatori assumessero in questo caso una posizione chiusa, difensiva, l’autore dimostra come questi avevano maggiori probabilità di resistere alla tentazione associata ai prodotti malsani e che creano dipendenza (come ad esempio le sigarette) e mostravano anche una minore intenzione di acquistarli rispetto ai partecipanti cui non veniva fatta assumere alcuna postura particolare.

Anche in questo caso, assumere inconsapevolmente una determinata postura piuttosto che un’altra influenza in modo non trascurabile determinati aspetti del nostro comportamento.

Movimenti delle braccia e processi decisionali

Anche la manipolazione dei movimenti delle braccia può influenzare alcuni nostri atteggiamenti. È stato visto, infatti, che possono essere riscontrati effetti di embodiment dal momento in cui un determinato gesto riesce ad esprime uno specifico significato, sociale o affettivo, che si è precedentemente consolidato in esso. Ad esempio, la flessione del braccio indica un moto di avvicinamento al proprio corpo e può dunque essere associato alla desiderabilità di ciò che vogliamo avvicinare alla nostra persona e all’approccio che vogliamo instaurare. Al contrario, l’estensione del braccio è associabile ad un gesto di evitamento e di rifiuto e, perciò, di allontanamento dal nostro corpo di tutto ciò che non ci appare affatto desiderabile e che vogliamo tenere lontano da noi (Solarz, 1960).

Facendo uso di questi principi, Cacioppo e colleghi (1993) hanno indotto i proprio partecipanti ad effettuare un movimento di estensione o di flessione del braccio mentre osservavano alcuni ideogrammi cinesi (da notare che nessuno dei partecipanti possedeva alcuna conoscenza della lingua cinese!) e hanno chiesto successivamente di valutare questi ideogrammi. Coloro che avevano effettuato un movimento di flessione con il braccio avevano categorizzato in modo più positivo gli stimoli che gli erano stati presentati.

Ma anche in questo caso, diverse altre ricerche si sono concentrate su determinati comportamenti d’acquisto. In Fӧrster (2004) l’estensione del braccio è stata indotta facendo allungare il braccio in avanti con il palmo premuto sul tavolo, mentre la sua flessione è stata ottenuta facendo premere il palmo sotto il piano dello stesso tavolo. Dopodiché, i candidati sono stati informati che avrebbero partecipato ad un’indagine di marketing relativa ad alcuni prodotti alimentari, mentre mantenevano la posizione del braccio così come gli era stata assegnata. La flessione del braccio ha fatto sì che prodotti con valenza positiva venissero valutati in modo ancora più positivo, mentre la sua estensione ha portato a valutare prodotti con valenza negativa in modo ancora più negativo. Sottolineiamo che la valenza dei prodotti utilizzati era stata stabilita tramite un precedente test.

Ma volendo uscire dai laboratori e volendo applicare tutto questo su un piano di realtà quotidiana, nel 2011 (Van Den Bergh et al., 2011) sono stati osservati i comportamenti d’acquisto e le preferenze rispetto a determinati prodotti all’interno di un vero supermercato. In un caso, un gruppo di persone spingevano un carrello (condizione di estensione del braccio), nell’altro un differente gruppo trasportava un comune cestino della spesa (tenendolo appeso al braccio per la maniglia, ovvero condizione di flessione del braccio). Successive analisi delle osservazioni effettuate hanno rivelato che chi trasportava il cestino per la spesa nella condizione di flessione del braccio (e dunque tenendolo vicino al corpo) tendeva ad acquistare prodotti più insalubri e maggiormente legati ad una soddisfazione immediata (es. snack, cioccolato…) dimostrando come anche azioni apparentemente irrilevanti, cui non prestiamo poi così tanta attenzione, possano in realtà avere un peso considerevole sulle nostre scelte.

Movimenti della testa e processi decisionali

Un’altra categoria di gesti studiato in ambito di embodiment sono i gesti di annuire e scuotere la testa che, utilizzati in concomitanza con il linguaggio parlato, vengono socialmente connotati rispettivamente di un significato di accordo e disaccordo, accettazione e rifiuto (Moretti & Greco, 2018).

In uno studio di Tom e colleghi (1991), ad esempio, è stato mostrato come annuire mentre si osserva un oggetto neutro possa portare a formare una maggior preferenza nei sui confronti rispetto a quando invece si nega. L’esperimento si svolge in modo piuttosto semplice: ai partecipanti viene raccontato, come pretesto, che dovranno valutare le funzionalità e l’efficacia di un paio di cuffie. Per farlo, gli viene detto di scuotere la testa su e giù (annuire) a da destra verso sinistra e viceversa (negare), per poi riferire se, anche effettuando tutti questi movimenti, le cuffie rimanevano ben salde e la qualità della musica ascoltata rimaneva invariata. Successivamente, veniva richiesto di compilare un breve questionario con una specifica penna. Quest’ultima era stata presente nella stanza per l’intera durata del finto test con le cuffie.

Una volta compilato il questionario, lo sperimentatore avanza una proposta a ciascun candidato: con l’acquisto delle cuffie sarebbe stato possibile avere in omaggio una penna. La scelta poteva essere effettuata tra la penna con cui avevano compilato il questionario, e che era stata nella stanza per tutto il tempo, o una penna nuova di zecca che non avevano mai visto. Coloro che avevano annuito tendevano a scegliere la penna che avevano avuto a disposizione durante la sessione, mentre coloro che avevano negato preferivano la nuova penna.

Tale studio suggerisce dunque che, se l’oggetto preso in considerazione è neutro, il solo movimento della testa può influenzare la formazione di una specifica preferenza, semplicemente in virtù del significato che tali gesti veicolano, il quale è appunto socialmente e culturalmente consolidato e, per questo, quasi inscindibile da successive valutazioni di carattere positivo o negativo.

Diverso invece il caso in cui ad essere presi in considerazione fossero dei prodotti non neutri, ma già dotati di una valenza estremamente positiva o negativa. In una ricerca di Fӧrster (2004), gli sperimentatori cercano di verificare se, sempre inducendo i partecipanti ad annuire o negare in modo non invasivo, sarebbero riusciti a modulare il desiderio di acquisto da parte di alcuni consumatori. L’ esperimento è molto simile a quello visto nel precedente paragrafo e fa parte della medesima ricerca, solo che, in questo caso i movimenti di approccio o evitamento utilizzati erano quelli della testa anziché quelli delle braccia.

Nel valutare i medesimi prodotti alimentari e nell’esprimere la volontà di acquistarli, anche in questo caso coloro che annuivano valutavano i prodotti con valenza positiva in modo ancora più positivo, esprimendo anche una maggiore volontà di acquisto, mentre coloro che negavano scuotendo la testa valutavano i prodotti con valenza negativa in modo ancora più negativo, rivelando una minore volontà di acquisto. Si evidenzia in questo caso una relazione di compatibilità, per la quale quando valenza del prodotto e movimento sono fra loro compatibili (ad esempio entrambi positivi) allora il movimento avrà un effetto sulle successive valutazioni e sui successivi giudizi. Al contrario, nel precedente caso, essendo il prodotto utilizzato neutro, e dunque non precedentemente associato ad una valenza estremamente negativa o positiva, il gesto effettuato diviene l’unico riferimento per poterlo categorizzare appunto come positivo o negativo (Fӧrster & Strack 1996).

Embodied Decision-Making

Quando acquistiamo qualcosa tendiamo a pensarci come persone del tutto razionali che, tramite un processo altrettanto razionale, siano in grado di valutare diverse informazioni e caratteristiche proprie del prodotto che hanno davanti e successivamente fare un acquisto mirato e che senz’altro massimizzi il proprio personale guadagno. Tuttavia, come abbiamo avuto modo vedere, le ricerche svolte per comprendere in che modo in cui gli individui compiono scelte e prendono decisioni all’interno del proprio ambiente reale ci raccontano una storia diversa. Ci raccontano che alcune variabili decisionali, alcuni aspetti propri del comportamento di un consumatore, quali scelte, giudizi, preferenze, che penseremmo essere associate ad un compito meramente cognitivo, possono e sono influenzate da specifici fattori corporei. Tramite l’integrazione di alcune azioni dall’elevata valenza affettiva, culturale e sociale, viene difatti evidenziata l’importanza della componente somatica nell’atteggiamento e nella formazione di opinioni (Connors e Rende, 2018).

Ma ora, tornando al nostro Lawrence W. Barsalou dell’incipit, direi che “dal momento che hai raggiunto questo punto dell’articolo, puoi rilassare la postura sulla sedia, rilasciare il palmo della mano dalla precedente pressione esercitata sotto il piano del tavolo e puoi rimuovere la penna stretta fra i denti. Speriamo che l’effetto desiderato sia stato raggiunto, vale a dire che forse, per la prima volta nella tua carriera, sei d’accordo con ogni singolo punto illustrato in un articolo” (Barsalou et al., 2003).

L’autrice

Sara Ferracci è una dottoranda di ricerca del dottorato in Business & Behavioral sciences. I suoi interessi di ricerca riguardano principalmente multisensory integration ed embodied cognition nei processi decisionali e nel comportamento dei consumatori.

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