Un’amicizia da Nobel: Kahneman e TverskyTempo di lettura stimato: 5 min

Michael Lewis, saggista e giornalista statunitense.

Per le recensioni di Economia Comportamentale, Eleonora Maglia, dottore di ricerca in Economia della produzione e dello sviluppo, ci racconta Un’Amicizia da Nobel. Kahneman e Tversky, l’incontro che ha cambiato il nostro modo di pensare.”
Il volume di Michael Lewis, edito da Raffaello Cortina Editore (2017, pp.389), indaga la relazione di lavoro e di stima tra Daniel Kaheman e Amos Tversky, i due insigni studiosi che, per primi, hanno integrato i contributi della ricerca in psicologia nella scienza economica.

 

NBA e distorsioni cognitive

Il tema dell’economia comportamentale viene introdotto dall’autore prendendo l’avvio dalla descrizione delle pratiche di ingaggio dei giovani atleti per l’NBA, dove, fino al secolo scorso, tra i manager sportivi e gli sponsor era imperante l’estrema fiducia nell’intuito e nelle impressioni personali dei selezionatori. Con il tempo, però, nel giudizio delle prestazioni sportive, le valutazioni soggettive sono state integrate con il ricorso all’analisi del corpus dati statistico, per l’evidenza dell’esistenza di errori ricorrenti e grossolani. Per individuare i cestisti cui offrire un contratto, si incappava, infatti, in pregiudizi, come ad esempio sopravvalutare i propri atleti, sottovalutare il futuro a vantaggio del presente e considerare a priori prevedibile un esito non prevedibile ma che, all’esito, appare scontato. Insomma, emergevano in ambito atletico quelle distorsioni cognitive poi codificate in come effetto dotazione, ancoraggio, present bias e hindsight bias.

Da qui, Lewis si concentra sui due studiosi pionieri degli studi che hanno inserito la psicologia nella teoria classica delle decisioni e li presenta, nei successivi capitoli, come un outsider (Daniel Kahneman) e un insider (Amos Tversky). Scopriamo, così, che la postura emotiva di base del primo è il dubbio (un approccio produttivo che lo porta ad andare a fondo dei problemi), che il suo interesse scientifico per il modo di pensare e di agire degli altri è maturato in giovanissima età (durante i tragici eventi storici del 1942 di cui, come ebreo, ha sopportato tutte le dolorose conseguenze di violenza, emarginazione, clandestinità e privazioni) e si è man mano definito durante il servizio militare (in cui, incaricato di esaminare le reclute e assegnarle ai corpi combattenti secondo le diverse attitudini, inizia ad elaborare le sue prime batterie di test) e che non attribuisce grande rilevanza o attenzione agli episodi della propria biografia (di cui, al massimo, ricorda dettagli molto circoscritti). Amos Tversky, invece è all’opposto, dai ricordi dei familiari e dei collaboratori (è scomparso prematuramente nel 1996) appare come ottimista e geniale (capace di illuminate conversazioni scientifiche con alti esperti di settori lontani dal proprio, come ad esempio la fisica) e disimpacciato (“riduceva al minimo le mansioni quotidiane, che giudicava una perdita di tempo [..], viveva nella sua bolla personale, e chi voleva averci a che fare doveva stare al gioco, non fingeva neppure di interessarsi alle cose [..]; erano le convenzioni sociali a renderlo insofferente [..], era convinto che il prezzo da pagare fosse esorbitante [..] e aveva concluso che non ne valesse la pena [..], non era disposto a sobbarcarsi responsabilità mondane e le declinava così, con grazia con disinvoltura“, pp. 101-103).

Daniel Kahneman e Amos Tverky hanno, insomma, personalità del tutto differenti, allora come possono iniziare (e riuscire a continuare) a lavorare insieme?

Una foto di Amos Tversky e Daniel Kahneman
Amos Tversky e Daniel Kahneman, da Doppiozero

 

Scontri, incontri e euristiche

Conosciutisi all’Università del Michigan nella primavera del 1969, gli inizi non del tutto idilliaci (“all’epoca sembrava fossero in qualche modo rivali [..], poco affiatati”, p. 151) proseguono invece felicemente, già nello stesso autunno, all’Università Ebraica (“erano diventati inseparabili” p.163), evidentemente facendo leva sui reciproci aspetti in comune (“entrambi [..] erano nipoti di rabbini dell’Europa dell’Est [..], si interessavano al modo in cui le persone funzionano nei loro stati normali (cioè non emotivamente connotati), entrambi praticavano la psicologia come una scienza esatta, entrambi erano alla ricerca di verità semplici e forti [..], entrambi erano dotati di menti di sconvolgente produttività ed entrambi erano ebrei atei in Israele”, p. 165-166).

Queste menti –che insieme hanno postulato le euristiche della rappresentatività (“un soggetto alle prese con la formulazione di giudizi confronta l’oggetto in questione con un modello mentale di qualche genere”, p.193-194), della disponibilità (“più risultava facile evocare mentalmente una data situazione [..] più quella situazione tendeva a sembrare probabile”, p.200), della condizionalità (“valutando il grado di incertezza di una situazione le persone tendevano a operare in base a presupposti non dichiarati”, p.202)– si sono tanto incorporate che attribuire gli apporti di ciascuno alle pubblicazioni era impossibile anche per loro stessi (“chi ha fatto che cosa? [..] non lo sapevamo, non era chiaro, era una sensazione fantastica [..], insieme siamo capaci di cose eccezionali”, p.309).

Eppure, ad un certo punto, la comunanza di interessi si biforca, il modo di considerare le situazioni e l’importanza attribuita ad esse si differenzia e il lavoro in comune tra Kahneman e Tversky diviene impossibile, anche se, nelle ultime pagine del libro, vediamo quanta stima e considerazione reciproca permanga tra i due.

Amos Tversky & Daniel Kahneman – da The New Yorker

 

Il racconto mostra che…

“Un’amicizia da Nobel. Kahneman e Tversky, l’incontro che ha cambiato il nostro modo di pensare” è un interessante volume che indaga e rappresenta il lato umano di due famosi autori per di-svelare il processo con cui hanno visto la luce le formule e gli assiomi di economia comportamentale, che hanno sostituito i teoremi classici nella teoria della scelta.  Questa lettura chiarisce come le relazioni umane possono essere soggette ad alti e bassi e a fallimenti anche quando sono intessute da due scienziati perfettamente consapevoli dei processi mentali. Evidentemente, accettare l’errore come un dato di fatto è più complesso di quanto sia materialmente possibile per chiunque, date le imperfezioni insite nella natura umana che Lewis, nel suo libro pubblicato da Raffaello Cortina Editore, riesce a chiarire in modo approfondito ma, allo stesso tempo, accessibile anche ai non esperti in neuroscienze.

 

Riferimenti

  1. Lewis Michael, (2017), Un’amicizia da Nobel. Kahneman e Tversky, l’incontro che ha cambiato il nostro modo di pensare, Raffaello Cortina Editore, Milano

eleonora maglia fotoLa Guest Contributor di oggi è Eleonora Maglia. Eleonora, dottore di ricerca in Economia della produzione e dello sviluppo, svolge attività di ricerca in Corporate Family Responsibility per Fondazione Vigorelli e scrive per le testate giornalistiche di ESTE Cultura d’impresa e del Centro Einaudi di Torino.

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