Le Neuroscienze cognitive applicate alle OrganizzazioniTempo di lettura stimato: 7 min

di Roberta De Cicco

Con questo articolo vi proponiamo un approfondimento sulle neuroscienze cognitive applicate alle organizzazioni, un recente campo di indagine accademico, dai risvolti manageriali, che mira a far luce su alcuni problemi esistenti e a sollevare nuovi quesiti che altrimenti rischierebbero di passare nell’ombra (J. Becker e Cropanzano, 2010).

Organizational cognitive neuroscience” (OCN), in italiano le “neuroscienze cognitive delle organizzazioni”, rappresentano lo studio delle neuroscienze cognitive applicate al contesto delle organizzazioni.
Le neuroscienze cognitive delle organizzazioni coniugano pertanto le più recenti scoperte sul funzionamento del cervello umano al sapere “classico” sulle dinamiche organizzative.
Come affermato da Butler e Senior (2007), l’essenza delle neuroscienze applicate alle organizzazioni non è tanto da ridursi ad un singolo metodo, quanto ad un nuovo modo di pensare ai problemi organizzativi.  Non trascuriamo il fatto però che le neuroscienze hanno introdotto una vasta gamma di nuove tecniche e metodologie alla dotazione scientifica della ricerca organizzativa.

Girl in a job interview
Photo by Tim Gouw on Unsplash

Questa nuova prospettiva confida dunque nell’approccio neuroscientifico per ottenere una maggiore comprensione sui perché ci si comporta o si reagisce in un determinato modo all’interno delle organizzazioni e pervenire ad una maggiore capacità predittiva di determinati comportamenti.
Ma facciamo qualche esempio pratico.

Se consideriamo la capacità di misurare gli effetti dell’eccitazione emotiva sul processo decisionale (Groeppel e Klein, 2005; Lo e Repin, 2002 citati in N. Lee et al. 2010), combinando un semplice indicatore psicofisiologico quale la risposta di conduttanza cutanea ad una scansione funzionale del cervello è possibile ipotizzare quali aree del cervello abbiano generato quella specifica risposta emotiva e, se tali regioni del cervello siano coinvolte in altri tipi di processi decisionali.
Come riportato da Kellerman (2004), molte organizzazioni investono ingenti somme di denaro in programmi progettati per “migliorare” la capacità di leadership di coloro che ricoprono posizioni di responsabilità (citato in N. Lee et al. 2010). Eppure sappiamo poco sulla concreta capacità di questi programmi di riuscire a raggiungere i risultati promessi.
E’ davvero possibile insegnare alle persone come diventare dei bravi leader? Oppure la leadership è da considerarsi una facoltà per lo più innata in alcuni piuttosto che altri? Allo stato attuale né gli scienziati, né i manager hanno modo di sapere qual è la visione corretta. Risposte a domande come questa e a innumerevoli altre sono tra gli obiettivi e le promesse delle neuroscienze applicate alle organizzazioni. Risposte che porterebbero a cambiamenti strategici anche sul campo: se i dirigenti avessero di fatto accesso a questo tipo di informazioni, se la leadership fosse fondamentalmente “naturale”, questa conoscenza cambierebbe la mole di investimenti nello sviluppo dei leader?
Sempre per quanto riguarda lo sviluppo dei leader, alcune ricerche in questo senso sembrano sulla giusta strada nell’ individuare una componente ereditabile nell’efficacia della leadership e altri lavori stanno scoprendo una relazione tra stili manageriali e geni specifici che a loro volta provocano differenze nella struttura e nelle funzioni del cervello (Arvey et al. 2007 citato in N. Lee et al. 2010).

Brain
Photo by jesse orrico on Unsplash

Sul fatto che ragionare in termini neuroscientifici ai problemi aziendali e organizzativi avrà un grande impatto sul modo in cui comprenderemo le dinamiche organizzative e aziendali non ci sono molti dubbi. D’altronde, se consideriamo l’ elaborazione delle informazioni e le capacità decisionali, esse sono fondamentalmente basate su meccanismi evoluti di ricompensa e di sopravvivenza (Gottfried et al. 2003; Breiter e Rosen 1999, citati in N. Lee et al. 2010). I dubbi, o meglio le perplessità sorgono nelle inferenze derivanti dall’utilizzo di alcuni strumenti neuroscientifici quali il neuroimaging.  Quest’ultimo ha convogliato la maggior parte delle preoccupazioni dei critici della ricerca neuroscientifica in vari campi (Lindebaum 2013; Poldrack 2006, citati in M.J.R. Butler et al., 2015). Il dibattito spesso si riferisce specificamente alla fMRI (Risonanza Magnetica Funzionale), limitandone significativamente la profondità esplicativa dello strumento stesso. Tuttavia, come affermato da Giere (2006) sarebbe imprudente il contrario, considerato il fatto che tale tecnologia si trova ancora ad uno stadio relativamente infantile, che al momento non esiste uno strumento che può registrare ogni aspetto di ogni decisione umana a livello corticale e considerati i non pochi problemi metodologici.
Esch et al. (2012) indicano la dicotomia inferenziale che coinvolge sia scienziati che professionisti come un problema metodologico significativo. Al contrario dei neuroscienziati,  maggiormente interessati alla mappatura delle aree cerebrali e dei  processi mentali, i ricercatori più applicati (ad esempio coloro che si occupano di ricerca nei confronti dei consumatori) si mostrano maggiormente proiettati verso un’”inferenza inversa” , ovvero un ragionamento a ritroso che dall’attivazione cerebrale approda a particolari funzioni mentali (Poldrack 2006, citato in ) M.J.R. Butler et al. 2015).
Gli studi sul comportamento organizzativo stanno seguendo un pattern simile a quello degli studi sull’economia e il marketing, anche se più lento. Gli studi nelle OCM che coinvolgono approcci neuroscientifici sono ancora ad uno stadio iniziale. Probabilmente la ragione di questo ritardo è dovuta al fatto che i ricercatori in OB (Organizational Behaviour) impiegano più tempo ad assimilare approcci neuroscientifici e all’influenza stessa dell’agnosticismo metodologico sostenuto nelle pubblicazioni scientifiche.

Nonostante sia ancora ad uno stadio infantile, il contributo della ricerca in OCN si dimostra importante, in particolare perché inizia a rivelare la natura sociale dell’essere umano nel contesto degli studi sul management e le organizzazioni (Saad e Vongas 2009 citati in M.J.R. Butler et al., 2015 ). È interessante notare come sia l’economia, sia il marketing e sia il comportamento organizzativo stiano contribuendo al dibattito sul funzionamento cognitivo del sistema uno e del sistema due nel processo decisionale (Kahneman 2003).
Ricordiamo che il sistema uno si riferisce al nostro sistema intuitivo, tipicamente veloce, implicito, emotivo e che agisce senza sforzo; mentre il sistema due si riferisce al ragionamento ed è dunque più lento, consapevole, impegnativo, esplicito e logico.

Secondo M. J.R. Butler, H.L.R. O’Broin, N. Lee e C.Senior (2015,) un tema importante delle ricerche in OCM è quello legato all’esplorazione del confine tra autodeterminazione (libero arbitrio) e  predeterminazione (determinismo). Proprio l’indagine sui limiti della libertà umana all’agire, porterebbe secondo le neuroscienze, ad una crescente comprensione su come il nostro passato evolutivo influenza le nostre scelte e le nostre attuali azioni. Ironicamente, come suggerisce Pinker (2003), comprendere i limiti della nostra autodeterminazione, aumenterebbe la nostra libertà di agire in termini reali.
Pensate alle ripercussioni in ambito manageriale e organizzativo!


Passando in rassegna alcuni tra i lavori più importanti svolti negli ultimi anni in questo campo, troviamo casi eccellenti in cui ad oggi le metodologie appartenenti alle neuroscienze sono state applicate a contesti organizzativi.

Job Meeting
Photo by rawpixel on Unsplash

Waldman, Balthazard e Peterson (2011), ad esempio, hanno usato l’elettroencefalogramma quantitativo (qEEG), una  forma di neurofeedback che utilizza più nodi EEG, per indagare comportamenti di leadership visionaria.
Bagozzi e colleghi (2013) hanno abbinato alla risonanza magnetica funzionale (fMRI), alcune misure di natura comportamentale per indagare il “Machiavellismo” e risultati organizzativi.  Più recentemente, Akinola and Mendes (2014) sono invece ricorsi a misure neurobiologiche per indagare il decision making nelle forze dell’ordine (N. M. Ashkanasy et al., 2014).
Tale varietà di metodologie e applicazioni riflette l’incoraggiante sviluppo che le  neuroscienze organizzative stanno avendo in ambito accademico e al di fuori.
L’interesse per la neuroscienza organizzativa è esploso anche tra la stampa e la coscienza pubblica, come testimoniano i numerosi testi divulgativi a riguardo acquistati in tutto il mondo.
Questa pressione a commercializzare i risultati delle neuroscienze, ha portato purtroppo, gli studiosi stessi, a non essere immuni da un’eccessiva esuberanza nelle implicazioni dei risultati basati sulle neuroscienze (Ringleb & Rock, 2008 citati in (N. M. Ashkanasy et al., 2014).
Posta la necessaria prudenza nel non sottovalutare i limiti intrinseci derivanti dall’applicazione delle neuroscienze ad altre discipline, resta indubbia la grande opportunità, in termini di ricerca nelle organizational behaviors che questa nuova scienza, abile nel considerare sapientemente le intersezioni interdisciplinari esistenti tra società, organizzazioni e cervello può offrire alla società accademica.

References e approfondimenti:

  1. Daniel Kahneman.
    “Maps of Bounded Rationality: Psychology for Behavioral Economic”.
    The American Economic Review, Vol. 93, No. 5, pp. 1449-1475 (2003).
  2. William J. Becker e Russell Cropanzano.
    “Organizational neuroscience: The promise and prospects of an emerging discipline”. Journal of Organizational Behavior. 31, 1055-1059 (2010).
  3. Nick Lee, Michael J. R. Butler, Carl Senior.
    “The brain in business: neuromarketing and organisational cognitive neuroscience”. Der markt, Journal für Marketing (2010).
  4. Carl Senior, Nick Lee and Michael Butler.
    “Organizational Cognitive Neuroscience”. Organization Science, Vol. 22, No. 3, pp. 804-815 (2011).
  5. Nick Lee, Carl Senior, Michael J. R. Butler.
    “The Domain of Organizational Cognitive Neuroscience: Theoretical and Empirical Challenges”. Journal of Management, Vol 38, Issue 4, pp. 921 – 931 (2012).
  6. Neal M. Ashkanasy, William J. Becker and David a. Waldman.
    “Neuroscience and organizational behavior: Avoiding both neuro-euphoria and neuro-phobia”. Journal of Organizational Behavior. 35, 909–919 (2014).
  7. Michael J.R. Butler, Holly L.R. O’Broin, Nick Lee and Carl Senior.
    “How Organizational Cognitive Neuroscience Can Deepen Understanding of managerial Decision-making: A Review of the Recent Literature and Future Directions”. International Journal of Management Reviews, Vol. 00, 1–18 (2015).

3 commenti

Lascia un commento