Musica: com’è che ci entra in testa?Tempo di lettura stimato: 10 min

di Giulia Castelletti

Prima o poi è capitato a tutti di canticchiare un motivetto o fischiettare una musica che ci entra in testa senza riuscire a smettere. Sicuramente l’esposizione recente e il numero di volte che abbiamo ascoltato questi motivi, il collegamento con un ricordo, le sue caratteristiche strutturali e la nostra storia personale, hanno un ruolo importante e permettono di trasformare un brano musicale in un vero tormentone, inducendoci a canticchiare nostro malgrado.

Questo fenomeno viene definito ufficialmente INMI, Involuntary Musical Imagery, ampiamente descritto dal celebre libro Musicophilia di Oliver Sacks, i ricercatori inglesi li hanno ribattezzati anche earworm, tarli dell’orecchio o sticky music.

La musica che si presta a trasformarsi in earworm ha caratteristiche precise: deve appartenere a un sistema che ci è familiare, melodie ripetute, semplici, ma spesso con un risvolto inaspettato che può stimolare l’attenzione.

È indubbio che viviamo immersi in un ambiente musicale, anche quando non ce ne rendiamo conto e gli INMI aiutano a capire i meccanismi della memoria, in particolare la memoria involontaria e i complessi rapporti tra cervello e musica.

Sean Bennett, ricercatore e pianista nonché fondatore della Zingle, un’azienda che promette di produrre jingle, per la sua tesi di dottorato presso l’Università di Cambridge scriveva per esempio che gli INMI rendono più facilmente memorizzabili messaggi importanti, musica particolarmente significativa per un pubblico specifico.

Che sia sotto forma di jingle o come colonna sonora, la musica è uno dei più efficaci elementi “emotigeni” ed è ampiamente utilizzato nelle pubblicità perché permette di creare un legame tra testo e contesto e grazie al suo “potenziale” persuasivo, la musica può trasferire un significato o esplicitarne un significante, evocare ricordi positivi nel consumatore o richiamare una certa atmosfera.

Cosa spinge ad ascoltare la musica?

Grazie allo sviluppo delle neuroscienze, sappiamo che l’ascolto musicale intenso, è accompagnato da alterazioni corporee e alla liberazione di endorfine, neurotrasmettitore alla base della sensazione del piacere.

L’emozione procurata dalla musica è certamente il principale motivo che spinge ad ascoltarla.

Ragazza ascolta musica
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Alcuni ricercatori hanno mostrato nel 2001 che quest’esperienze di breve ed intenso piacere, il “brivido musicale”, sono accompagnate da alterazione corporee ed alterazioni in particolari zone corticali, soprattutto lo striato ventrale e in altre zone del lobo temporale interno e del lobo frontale. Il lavoro ha confermato l’effetto della musica sul sistema della ricompensa

Nel 2011, i ricercatori hanno mostrato che l’ascolto della musica induce la secrezione di dopamina nello striato.

Il sistema dopaminergico, che comprende delle regioni del tronco cerebrale ma anche lo striato, l’amigdala, l’insula e la corteccia orbito-frontale, è cruciale e comune all’elaborazione di stimoli biologicamente legati alla ricompensa.

Le note stimolano i circuiti della ricompensa al rilascio di dopamina procurandoci piacere. Inoltre Robert Zatorre della McGill University ha mostrato che quanto più la musica ci piace, tanto più il sistema dopaminergico si attiva. Il famoso ricercatore, si è in seguito ispirato agli studi realizzati in neuroeconomia, chiedendo a dei soggetti di ascoltare dei brani e valutarne quanto sarebbero disposti a pagare per avere la registrazione.

Il risultato di questo studio mette in evidenza che quanto più le persone sono disposte a pagare, tanto più il nucleo accumbens (una parte dello striato) si attiva. Questo studio mette poi in evidenza delle differenze di connettività fra le cortecce uditive ed il sistema dopaminergico, legate al valore della ricompensa.

Il sistema di ricompensa legato alla musica, pare quindi essere diverso da quello legato a stimoli primari come cibo e sesso o secondari come il denaro.

Gli studi di neuroscienze hanno chiaramente mostrato come la musica, l’ascolto della musica e ancora di più nella pratica, richieda un numero importante di funzioni percettive e cognitive, ed ha la capacità di attivare simultaneamente aree con correlati cerebrali delle emozioni, ma anche numerose strutture corticali e sottocorticali ed è quello che in certo senso la rende in un certo senso “unica”.

Gli studi sulla plasticità cerebrale hanno mostrato come la musica, ed ancor di più la pratica musicale, abbia un effetto su funzioni non specificatamente musicali.

Le ricerche condotte su musica e cervello mostrano come la musica, per via delle emozioni che suscita, modula i nostri stati emotivi e cognitivi identificandone sia le virtù terapeutiche ma anche l’impatto positivo sul comportamento, sull’umore e le funzioni cognitive.

In precedente articolo “La scienza al ristorante”, abbiamo descritto alcuni studi che affrontano il ruolo decisivo della musica di sottofondo per orientare la decisione. Tra questi anche Charles Spence, dell’Università di Oxford, ha analizzato l’influenza del suono su alcuni gusti in relazione al wine tasting, mostrando l’effetto della stimolazione sonora sulla percezione del gusto: mettendo la musica in sottofondo più appropriata è possibile orientare la decisione ma anche dirigere i gusti dei clienti!

Tuttavia, la cosa forse più interessante è come tutto ciò avviene in maniera del tutto inconscia e sulla capacità pervasiva della musica nell’ambiente.

Effetto canzone

Gli psicologi si interrogano da tempo sulle possibilità della musica di influenzare i comportamenti delle persone.

In un primo momento gli studi si sono concentrati sull’effetto della melodia ma a poco a poco anche i testi sono divenuti oggetti di studio.

Le canzoni possono affrontare qualunque argomento ma l’aspetto forse più interessante è che i testi cantati riflettono spesso i problemi della società, della politica e degli individui che appartengono a una determinata cultura in un preciso momento.

Alcuni studi si sono concentrati sull’effetto delle canzoni dimostrando l’influenza inconscia dei testi delle canzoni sul comportamento.

Nel 2011, John Mast e Franck McAndrew, del Knox College hanno condotto un’esperimento per valutare l’influenza dell’ascolto con testi misogeni a un gruppo di persone.

Ragazzo ascolta musica
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L’effetto del testo in canzoni dello stesso genere musicale è stato valutato con un test classico usato di solito per misurare l’aggressività nella psicologia sperimentale: alcuni studenti vengono sottoposti all’ascolto di brani heavy metal e suddivisi in gruppi. Un primo gruppo ascoltava una canzone che incitava alla violenza, il secondo gruppo no e il terzo invece restava seduto senza ascoltare musica.

Successivamente i partecipanti ricevevano una salsa piccante da dosare secondo il loro piacimento in un bicchiere d’acqua che altri avrebbero dovuto bere per forza (la salsa piccante serviva proprio a misurare l’aggressività negli studenti).

Risultato: i giovani che avevano ascoltato musica con parole violente avevano avuto la mano più pesante di quelli che avevano ascoltato testi heavy metal privi di violenza o quelli che non avevano ascoltato musica.

L’aspetto molto importante di questo studio è che tra gli ultimi due gruppi, quelli che avevano ascoltato testi heavy metal privi di violenza e quelli che non avevano ascoltato musica, non vi era differenza.

L’aggressività manifestata non era legata alla musica bensì alle parole dei testi.

Altri ricercatori invece si sono concentrati sulle canzoni che favoriscono il consumo di alcolici.

Secondo gli studi di Michael Siegel della School of Public Health dell’Università di Boston, la percentuale di canzoni che parlano di alcool è aumentata in modo costante tra il 1979 e il 2009, passando dal 12 al 63 per cento.

Ma quali sono gli effetti di queste canzoni sul nostro consumo di alcolici? Rutger Engles, psicolgo della Radboud University nei Paesi Bassi ha deciso di studiarlo chiedendo a dei gestori locali di diffondere per due ore al giorno musica moderna che parlasse esplicitamente di alcool.

Dopo diverse settimane i ricercatori hanno osservato un incremento degli affari locali in questione.

Altri interessanti studi in alcuni bar vengono da Cèline Iacob, dell’Université De Bretagne-Sud.

In questo caso è stato scelto di osservare locali in cui i clienti si trattengono poco (in media 15-20 minuti) ed ha notato che la diffusione di canzoni con testi “alcolici” li fa trattenere più a lungo.

In entrambe gli studi l’effetto è duplice: da una parte il cliente avrebbe più voglia di bere, dall’altra passa più tempo al bar, incrementando così il consumo di bevande alcoliche.

Questi risultati tuttavia non sono un semplice effetto della musica, perché non funziona con musiche pop prive di riferimento all’alcool, né con melodie usate a titolo di controllo, come le sigle di cartoni animati, ma dal registro verbale usato.

L’aspetto fondamentale è che siamo immersi nell’universo emotivo e gradevole della musica, mentre i testi a volte ci sembrano in secondo piano e così finiamo per subirli senza accorgerci dell’effetto che hanno sul nostro inconscio.

Se i termini legati all’aggressività o all’alcol hanno effetti negativi, quelli che evocano amore e convivialità agiscono nel senso opposto perché anche le canzoni con testi umanitari hanno un effetto profondo sui nostri comportamenti.

Tobias Greitemeyer, dell’Università di Innsbruck ad esempio ha mostrato come alcune canzoni inducano compassione e generosità: dopo che i volontari avevano ascoltato canzoni con tematiche sociali, i partecipanti manifestavano maggior empatia nei confronti di protagonisti sfortunati di storie che venivano loro sottoposte.

L’influenza dell’effetto canzone è stata studiata anche da Greitemeyer attraverso la propensione ad impegnarsi da un punto di vista sociale. Lo studioso chiedeva a degli studenti di rispondere ad un questionario sulla musica in cambio di 2 euro; il pretesto era quello di sottoporre i partecipanti a canzoni neutre o con tematiche sociali.

Dopo aver partecipato, al momento di ricevere il denaro, gli studenti venivano informati che era in corso una raccolta fondi e benefico di un’organizzazione caritatevole. Questo studio ha mostrato che l’effetto della canzone ha ripercussione non solo sui pensieri ma anche ai fatti: dopo aver ascoltato canzoni impegnate dal punto di vista sociale, il 53 per cento degli studenti ha donato il denaro, contro il 31 per cento di chi aveva ascoltato canzoni neutre.

Che farne?

La musica e le canzoni, con la forza del loro testo, hanno un’influenza profonda sulle nostre emozioni collettive, ascoltare rap aggressivo, musica romantica o folk pacifista non ha le stesse conseguenze sui nostri comportamenti: anche le canzoni influenzano profondamente i nostri stati d’animo.

Musica, spartiti e cuffie
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Quale consiglio più utile quindi di prestare attenzione alle parole e coglierne la valenza emotiva perché in fondo, la ricerca mostra che i testi, a volte ci sembrano in secondo piano rispetto all’universo musicale e finiamo per subirli con disinvoltura senza accorgerci del potere e dell’effetto che essi hanno sul nostro inconscio.

Bibliografia

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  10. SPENCE C., Eating with our ears: assessing the importance of the sounds of consumption on our perception and enjoyment of multisensory flavor experiences, Vol.4, Experimental Psychology, 2015.

Immagine in evidenza tratta da Inside Out, Walt Disney Pictures.

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