La sfida di Gigerenzer: Verso la Risk LiteracyTempo di lettura stimato: 9 min

di Serena Iacobucci

Usiamo il termine “alfabetizzati” per indicare quegli individui in grado di leggere e scrivere. Tutti noi, quando sfogliamo un articolo di giornale, i nostri News Feed sui sui social network o le previsioni meteo dall’App del nostro cellulare non esiteremmo un istante prima di definirci “alfabetizzati”.
Ma, nella società moderna, c’è un’alfabetizzazione che fatica a entrare nelle nostre vite ed è, probabilmente, una di quelle che affligge di più la nostra quotidianità e il modo in cui essa si ripercuote sulla collettività: l’alfabetizzazione al rischio.

“Tanti si preoccupano di rendere la tecnologia più sofisticata, pochi di rendere gli umani più intelligenti”

Queste le parole di Gerd Gigerenzer, uno psicologo cognitivo tedesco che ha dedicato la sua vita allo studio del rischio e delle decisioni legate alla razionalità limitata dell’essere umano. 

Ripercorrendo gli studi di Herbert A. Simon, economista, psicologo e informatico statunitense, Gigerenzer affronta lo studio delle decisioni partendo dal presupposto che la “razionalità olimpica” non esiste: il perfetto homo economicus (John Stuart Mills, 1836) era definito da Simon come una creatura mitologica, con caratteristiche decisionali che non appartengono all’uomo, per quanto intelligente e istruito esso possa essere. 

Non ambiamo alla migliore decisione in termini assoluti, quindi, bensì la migliore decisione possibile: il decisore, infatti, si accontenta di scelte soddisfacenti piuttosto che ottimali. Per esprimere questo concetto, Simon coniò il termine satisficing, una parola “macedonia” composta dai termini inglese “satisfy” e “suffice”, in altre parole un misto tra soddisfacente e sufficiente. 

Il desiderio di accuratezza, infatti, deve fare i conti con la nostra limitata propensione a compiere sforzi cognitivi. Un’idea apparentemente semplice, che però valse a Simon il premio Nobel per l’economia e aprì la strada alle contaminazioni psicologiche in ambito economico.  

Gli studi di Gigerenzer in questi ambiti mostrano che le inferenze degli esseri umani riguardo al mondo che li circondano sono molto limitate in termini di tempo e soprattutto di conoscenze e, proprio per questo motivo, l’animale-uomo ricorre a euristiche o “regole del pollice”, dall’inglese “rule of thumbs”, per poter sopravvivere nel proprio ambiente. 

In un ambiente di forte incertezza, di conoscenze limitate e tempi molto ridotti, disponiamo di una “cassetta degli attrezzi” dalla quale attingiamo ogni qualvolta abbiamo la necessità che una  determinata euristica “corra in nostro aiuto”. 

Toolbox

 

È importante, a questo punto, sottolineare la differenza tra le euristiche di cui ci parla Gigerenzer, e i bias, come sono stati proposti da Kahneman. (Per rinfrescarvi la memoria a riguardo, andate a rispolverare il nostro articolo a riguardo dove potrete trovare anche la differenza tra Sistema 1 e Sistema 2, che vi tornerà utile più avanti nella lettura! ) 

Mentre i bias cognitivi sono costrutti fondati su percezioni errate o deformate, spesso anche pregiudizievoli, le euristiche sono, al contrario, dei procedimenti mentali intuitivi, veloci e immediati, delle “scorciatoie” grazie alle quali il nostro cervello ci permette di elaborare un pensiero o un’idea a riguardo di un determinato argomento senza eccessivo sforzo cognitivo. Sono tutte quelle strategie “fast and frugal” che ci permettono di giungere velocemente ad una conclusione. Secondo lo psicologo tedesco, infatti, è proprio ignorando una parte di informazioni anziché considerando tutte le opzioni che spesso riusciamo ad arrivare ad una scelta ottimale. 

Vi ricordate l’eterna lotta tra sistema 1 e sistema 2? In questo contesto, quindi, è l’irrazionalità ad avere la meglio per Gigerenzer?  

Certamente no. Come afferma lui stesso nel suo “Decisioni Intuitive” le buone intuizioni vanno oltre la logica, ma  bisogno precisare che un’intuizione ci aiuta a scegliere meglio purché siamo degli esperti, dei professionisti in materia, non dei principianti. 
Pensiamo all’esempio dell’uso delle euristiche in medicina: gli “shortcut” del nostro cervello sono fondamentali laddove il medico debba decidere velocemente, sulla base di pochi sintomi, quali possano essere le azioni immediate da intraprendere in brevissimo tempo. La tempistica, in questi casi, può salvare una vita, ma l’euristica stessa potrebbe indurre anche il più esperto  a cadere vittima dei tanti bias che conosciamo molto bene, come quelli della disponibilità, dell’ancoraggio o della conferma, che ci fanno “fissare” sull’ipotesi di partenza, magari legata ad un caso precedentemente affrontato. 

Ed è qui che entra in gioco l’alfabetizzazione al rischio: non sono, infatti, solo le euristiche a condurci a conclusioni errate. Secondo gli studi di Gigerenzer è anche la scarsa educazione statistica a limitare la nostra capacità valutativa. 

L’idea di alfabetizzazione al rischio non pretende di trasformarci in esperti di statistica bayesiana, ma vuole permetterci di avere a disposizione gli strumenti e le conoscenze adatte a non rimanere vittime del nostro stesso cervello e, soprattutto, della maniera in cui le informazioni spesso ci vengono presentate. È esattamente questo a renderci “analfabeti al rischio” e queste lacune si ripercuotono nella società in quanto non colpiscono solo il “cittadino comune” bensì anche i decisori, avvocati, giudici e persino i medici (“vittime” predilette da Gigerenzer) che spesso, come tutti noi, confondono rischi assoluti e rischi relativi, falsi positivi e falsi negativi, finendo per falsare (e solitamente ingigantire vertiginosamente) le probabilità che un individuo soffra di una certa malattia a seguito di una diagnosi. 

L’esempio emblematico della nostra incapacità di interpretare e comprendere dei semplici problemi statistici è quello del paradosso di Monty Hall: lasciamo che sia questa scena del film “21” a spiegarlo in pochi minuti .

Quanti sarebbero stati in grado di dare la stessa risposta dello studente del MIT? E quanti di  noi invece avrebbero detto che la probabilità di trovare la macchina fosse del 50%?

Le conseguenze di questo analfabetismo non sono da sottovalutare: non si limitano, infatti, alla pessima figura di un meteorologo che affermò “la probabilità che piova sabato è del 50%. Anche la probabilità che piova domenica è del 50%. Perciò, la probabilità che piova durante il weekend è del 100%”.

Al contrario, possono essere catastrofiche e creare veri e propri scandali e casi giudiziari: si pensi al caso O. J. Simpson, accusato di aver ucciso la sua ex moglie. L’accusa affermava, come indizio a favore della colpevolezza dell’imputato, il fatto che, nella coppia, ci fossero  stati dei precedenti maltrattamenti e casi di violenza coniugale.

O.J. Simpson
O.J. Simpson

La difesa replicò affermando che tale fatto non poteva costituire un indizio di colpevolezza in quanto, negli USA, circa 4 milioni di donne l’anno subiscono violenze domestiche ma, nel 1993, solo 1432 furono effettivamente uccise: 

P(donna uccisa|maltrattamenti e violenza domestica)= 0.004 
(ovvero lo 0,4% delle vittime di violenza domestica viene poi effettivamente uccisa dal proprio marito) 

La fallacia di questo ragionamento sta nel fatto che la percentuale di uomini che picchiano le mogli per poi ucciderle è irrilevante. Nel processo di O.J. Simpson, infatti, la moglie era stata effettivamente uccisa, quindi la probabilità da considerare era, al contrario di quanto presentato dall’accusa, quella che un uomo abbia ucciso la moglie nell’ipotesi che la picchiasse e che essa fosse stata assassinata. Probabilità, quest’ultima, che, stando ai dati annuali della criminalità statunitense, sale notevolmente, dato che, su 100.000 donne picchiate dal marito o dal compagno, 45 vengono uccise e di queste 45 ben 40 vengono uccise  proprio dal marito/compagno stesso.
In questo caso la probabilità condizionata diventa: 

P(il colpevole è il marito|donna uccisa è stata vittima di maltrattamenti o violenza)= 0.89, ovvero 89%. 

Ma come agire contro quest’analfabetismo statistico? 

Possiamo riassumere l’aspra critica che Gigerenzer rivolge ad alcuni colleghi proprio con le sue stesse parole.

Molti studiosi pensano che noi esseri umani siamo vittime prevedibili dei nostri bias cognitivi e perciò c’è bisogno di “nudge”, piccole spinte che ci inducano a comportarci in maniera adeguata dalla nascita fino alla morte. Quindi raccogliamo tutti questi esperti, rinchiudiamoli in una stanza e facciamo sì che dicano alla gente cosa fare e cosa non fare. Ma questa non è la mia visione. Le persone non nascono stupide. È possibile insegnare a tutti i bambini ad essere alfabetizzati al rischio.  

Ed è proprio questo che Gigerenzer fa, insieme al suo team di ricerca del Max Planck Institute: creare metodi didattici che permettano anche a bambini delle scuole elementare di imparare a riconoscere e risolvere quei problemi di statistica bayesiana nei quali incappiamo quotidianamente e che spesso sono alla base delle nostre decisioni sbagliate. Dalla tutela della salute alla prevenzione: le cattive abitudini che abbiamo vengono formate in età molto giovane ed è proprio lì che bisogna intervenire, senza fare del moralismo, bensì insegnando ai più giovani ad interpretare i dati rilevanti a riguardo, dando loro gli strumenti per poter prendere decisioni informate e non più venendo manipolati dall’alto.  

E voi? Come ve la cavate in termini di risk literacy? Provate con questo piccolo test di ragionamento statistico: http://www.riskliteracy.org/

 

Per saperne di più: 

  1. Gerd Gigerenzer – “Imparare a rischiare. Come prendere decisioni giuste” 
  2. Gerd Gigerenzer – “Decisioni intuitive. Quando si sceglie senza pensarci troppo” 
  3. Gerd Gigerenzer – “Quando i numeri ingannano. Imparare a vivere con l’incertezza” 
  4. Poggi, Francesca – “Tra il certo e l’impossibile. La probabilità nel processo” 
  5. TedX Talk di Gerd Gigerenzer: https://www.youtube.com/watch?v=g4op2WNc1e4
  6. Intervista a Gerd Gigerenzer: http://www.lastampa.it/2016/10/19/scienza/tuttoscienze/gerd-gigerenzer-sono-uno-dei-pochi-che-vuole-rendervi-pi-intelligenti-wnqAAc1s1tJrL3NLdjGcqM/pagina.html

L’autrice

Serena Iacobucci è dottoressa di Ricerca in Business & Behavioural Sciences ed attualmente Editorial Outreach Specialist per Frontiers, casa editrice svizzera di riviste scientifiche open-access. Ex ricercatrice post-doc e cultrice della materia in Economia e Finanza Comportamentale, si è occupata di consulenza e ricerca in Linguistica e Comunicazione Digitale ed è Content & Digital Strategist per lo spin-off Umana-Analytics. Serena è la Co-Editor in Chief e responsabile della comunicazione di EconomiaComportamentale.it, editor associata e responsabile della comunicazione digitale di InMind Italia – una rivista trimestrale dedicata alla psicologia sociale – e Social Media Officer dell’Associazione Internazionale per la ricerca in Psicologia Economica (IAREP – International Association for Research in Economic Psychology).

8 commenti

  • Articolo molto interessante che descrive bene la filosofia Gigerenziana e le differenze con la scuola di Kahneman. Sono in molti a pensare che nessuno dei due abbia ragione in termini assoluti. In termini relativi, bisogna tenere presente la struttura del problema decisionale che si intende affrontare e la presenza di limiti (constrains) ambientali, come la mancanza di tempo per prendere una decisione ponderata. Anche l’incertezza è un punto fondamentale. Quando si parla di utilità attesa o di valore atteso, significa che ci troviamo in una situazione in cui è possibile calcolare la probabilità che un dato evento si verifichi, come la scelta tra due lotterie. In questo caso non è propriamente corretto parlare di incertezza, perché la distribuzione di probabilità è nota. Ci sono casi, nella vita reale, in cui la probabilità che un dato evento si verifichi non è nota (incertezza pura). Ed è qui che entrano in gioco le euristiche. Quando non puoi massimizzare per il valore atteso, ma devi comunque prendere una decisione, non puoi che avvalerti di una frugale valutazione del contesto, e scegliere l’alternativa che soddisfa un criterio minimo stabilito a priori. L’ecological rationality è una teoria affascinante e promettente, che meriterebbe un po’ più di considerazione nell’ambito dell’economia comportamentale e del decision making in generale.

    • Caro Felice, grazie mille per le tue osservazioni precise, puntuali, competenti e ricche di spunti.
      Siamo contenti di ricevere commenti come i tuoi che ci permettono di avviare un confronto su queste tematiche che, altrimenti, rischierebbero di godere della luce dei riflettori per qualche settimana (vedi Thaler); luci che però inevitabilmente dopo un po’ si spengono e si rischia di rimanere sempre chiusi nel confronto puramente accademico.
      Ci piacerebbe tantissimo, se ti va, ricevere un tuo contributo sulle tematiche dell’ecological rationality, delle critiche alla rational choice theory e delle euristiche fast & frugal. Pensiamo che solo grazie a collaborazione e al confronto continuo questo spazio potrebbe diventare un ambiente di dialogo e approfondimento delle teorie a cui facciamo riferimento che, come dici tu, meriterebbero molta più attenzione nel mondo del decision making, dell’economia e della finanza comportamentale.
      Grazie ancora!

  • Il link per il test statistico non funziona più. Sapete per caso dove potrei trovarlo? Grazie

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