Il bias della creativitàTempo di lettura stimato: 6 min

di Roberta De Cicco

Il bias che ostacola la creatività, ovvero perché le persone desiderano ma faticano ad accettare idee creative?

Spesso le persone in generale e soprattutto membri di organizzazioni e accademici respingono idee creative nonostante siano essi stessi a promuoverne e a sottolinearne l’importanza. 

Perché ciò avviene? 

Una possibile risposta ci viene data da uno studio della Cornell University del 2011 che ha analizzato uno dei maggiori fattori scatenanti del “bias della creatività”, ovvero l’incertezza. 

L’incertezza è considerata una condizione spiacevole relativa ad una conoscenza limitata in cui è impossibile descrivere esattamente la situazione esistente, i risultati futuri o più di un risultato possibile (Doug Hubbard, 2007).  Essa rappresenta l’habitat naturale, l’ingrediente fondamentale della vita umana, sebbene la speranza di sfuggire ad essa per raggiungere uno stato di felicità sia anche il motore stesso delle attività umane (Zygmunt Bauman, 2006)”.
La creatività sfida il nostro modo di pensare abituale, ci spinge al di là della nostra comfort zone ed è per questo che la maggior parte delle persone, anche se in maniera poco esplicita, tende ad evitarla o a ridurla il più possibile. 

Tutto ciò non deve sorprenderci.

È ormai noto quanto noi esseri umani siamo fortemente avversi al rischio, la maggior parte di noi preferisce ciò che è sicuro e convenzionale ed è per questo che quando ci  troviamo davanti alla possibilità di ridurre l’incertezza, i bias della creatività vengono attivati sia a livello individuale, che organizzativo ed istituzionale.
Lo studio della Cornell University effettuato da Jennifer S.Mueller, Shimul Melwani e Jack A. Goncalo mostra in primis proprio come questo meccanismo di difesa porti le idee creative a percorrere un cammino spesso estremamente faticoso: l’incertezza può rendere più salienti le associazioni negative rispetto a quelle positive nel giudicare tali idee. 

Il bias della creatività è particolarmente insidioso perché non si manifesta in maniera esplicita. Il rifiuto di idee innovative non è di fatto ben visto dalla società e di conseguenza il desiderio di “desiderabilità sociale” spinge le persone a mostrarsi come open-minded, nonostante implicitamente percepiscano tali idee con sospetto e perplessità. Questo stato di divergenza tra “ciò che desidero venga percepito all’esterno e ciò che provo intimamente” risulta molto simile al bias razziale e come tale richiede un’analisi più sottile che tenga conto anche delle attitudini implicite. Nello studio effettuato è stato utilizzato il Test d’Associazione Implicita (IAT) (Greenwald, McGhee, & Schwartz, 1998) che ha permesso di rappresentare la forza delle associazioni mentali dei soggetti sottoposti al test. 

Un altro paradosso riscontrato nello studio vede l’incertezza come punto di partenza per la ricerca e la generazione di idee creative ma al tempo stesso il timore per essa come ostacolo alla capacità di riconoscerle. 

Sono numerosi gli esempi nella storia in cui grandi ricercatori hanno visto apprezzare le proprie idee solo molti anni dopo. Robert Goddard ad esempio, scienziato statunitense e padre della missilistica moderna fu deriso dai colleghi e vide trattare con estremo scetticismo le sue teorie proprio perchè troppo rivoluzionarie per l’epoca, fin tanto che la maggior parte dei suoi brevetti (214) venne riconosciuta solo dopo la sua morte avvenuta nel 1945.  

Purtroppo quello di Goddard non è stato un caso sporadico e dimostra quanto la nostra avversione per l’incertezza ci renda difficile riconoscere ed apprezzare idee geniali, magari proprio nel momento in cui ne abbiamo più bisogno.

Come possiamo imparare a riconoscere e superare questo bias?

Il punto di partenza per “educare” a superare questo atteggiamento di chiusura è sicuramente il contesto culturale. 

Alcuni studi hanno dimostrato come in realtà gli studenti più creativi non siano poi così favoriti dai propri docenti (Bachtold, 1974; Cropley, 1992; Dettmer, 1981; Getzels & Jackson, 1962; Torrance, 1963).  I risultati più importanti testimoniano come gli insegnanti non amino molto i tratti della personalità associati alla creatività e tendano a preferire tratti come la conformità o l’accettazione dell’autorità, definendo in alcuni casi come “detestabili” alcuni tratti dei loro studenti più creativi (Torrance, 1963). 

Tuttavia, quando gli studenti sono incoraggiati ad esercitare la loro creatività i risultati possono essere impressionanti. La ricerca di Robert Sternberg ad esempio dimostra come gli studenti educati utilizzando metodi creativi raggiungono una maggiore conoscenza degli argomenti e si confrontano con le informazioni in maniera più creativa. 

L’esperto di creatività Sir Ken Robinson nel suo Ted Talk del Febbraio 2006 che ha ottenuto più di 45 milioni di visualizzazioni sfida il sistema educativo occidentale auspicando un radicale ripensamento dei sistemi scolastici, mirato a coltivare la creatività e riconoscere diversi tipi di intelligenza. 

Sir Ken Robinson con il suo slogan “se non sei disposto a sbagliare, non creerai mai niente di originale” sostiene che il problema risiede nel fatto che fin dalla tenera età i bambini subiscono il timore di commettere errori e ciò inibisce loro la possibilità di imparare a “giocare” con soluzioni e a pensare in modi diversi. 

 

 

 

E nel contesto aziendale? 

Lo studio di Hirst, Van Knippenberg e Zhou del 2009 indaga come il contesto aziendale influenzi e modelli la creatività degli individui. I ricercatori affermano che i processi di apprendimento del gruppo moderano la creatività del dipendente nel raggiungimento dei propri obiettivi aziendali.
Per gli individui che hanno una maggiore propensione all’apprendimento, i processi di apprendimento del team possono contribuire a sfruttare al meglio le potenzialità dei singoli, rafforzando le loro disposizioni creative.
Ne consegue che nei team in cui c’è poco incoraggiamento all’apprendimento, la creatività non trova terreno fertile e tale difficile interazione accentua l’importanza del contesto nel rapporto tra orientamento all’apprendimento e risultati. 

Anche se l’enfasi sull’apprendimento può migliorare la creatività individuale, lo studio sottolinea la necessità di considerare non solamente il singolo l’individuo, ma piuttosto l’individuo nel suo contesto. È infatti la combinazione di apprendimento individuale e apprendimento di gruppo che produce effetti più forti in termini di creatività.  

Le aziende dovrebbero dunque porre maggior enfasi su questi aspetti, prendendo in considerazione tali dinamiche sia nel processo di selezione del personale, sia in maggiori investimenti in programmi di sviluppo per motivare i dipendenti ad avere un atteggiamento positivo nei confronti dell’apprendimento (Gist & Stevens, 1998). 

Bibliografia

  1. Kaufman, S. & Gregoire, C. (2015). Wired to Create: Unraveling the Mysteries of the Creative Mind. New York: Perigee. 
  2. Sternberg, R. J., & Grigorenko, E. L. (2007). Teaching for Successful Intelligence: To Increase Student Learning and Achievement (2nd ed.). New York: Corwin. 
  3. Westby E. L., & Dawson, V. (1995). Creativity: Asset or burden in the classroom? Creativity Research Journal, 8, 1–10. 
  4. Mueller, J. S., Melwani, S., & Goncalo, J. A. (2012). The bias against creativity: Why people desire but reject creative ideas. Psychological Science, 23(1), 13–17. 
  5. Hirst G., Van Knipperberg D., Zhou J., (2009). A cross-level perspective on employee creativity: Goal orientation, team learning behavior and individual creativity. Academy of Management Journal, Vol. 52 No. 2, 280-293. 
  6. http://thepsychreport.com/society/the-bias-against-creativity/ 
  7. https://www.ted.com/talks/ken_robinson_says_schools_kill_creativity?language=it#t-107435 

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